Il tranquillismo di governo

Non si sa come e non si sa perché ma stiamo vivendo minuti, ore, giorni di decisioni, scelte e approvazioni in nome e per conto dello slogan che ogni “nuovo che avanza” lancia e rilancia: tutto cambia, tutto deve cambiare. Sicché, è tutto un basta col prima! Sono finiti i bei tempi dell’immobilismo! Dite addio alle incertezze! No ai rinvii dei governi di prima! Tutti incapaci e, diciamolo pure, un tantinello corrotti.

E non ci si stupisca se, spesso e volentieri, viene tanto la voglia di dire loro di bastare col basta. A meno che il ricorso a simili esclamazioni di un maggioranza che di certo è nuova ma non è altrettanto certo che avanzi, altro non sia che il continuum della campagna elettorale, non fosse altro perché ha catapultato al Governo una forza politica, quella sì nuova, specialmente di Palazzo Chigi e di ministri, posto che l’altra, leghista, ha frequentato quel Palazzo, e non di sfuggita, anzi.

È persino ovvio e del resto legittimissimo rifarsi al motto di quel cambiamento invocato dal e per il popolo, tanto più da una parte “politica” che ha come base essenziale, come fondamento vero e come istanza primaria, il grido dell’onestà, della lotta alla corruzione ritenuta endemica ai politici di allora, forse anche per potenziare, sotto quel grido moralista e purificatore, una indubbia debolezza programmatica e realizzativa.

Intendiamoci, l’accesso al governo per una componente che né stata lontana quasi per statuto, da un lato comporta sempre e comunque, al di là di qualsiasi slogan, uno scossone interno da parte di quanti, tanti o pochi, avrebbero preferito l’opposizione dura e pura. Mentre dall’altro lato viene alla luce l’atteggiamento per dir così più cauto e prudente impersonato dai cosiddetti governativisti, che, nel caso pentastellato, hanno il più autorevole rappresentante e dicitore, specialmente in televisione, nel vicepresidente Luigi Di Maio. Anche per il più accanito populismo, venato di moralismo, la sua ascesa al Palazzo che conta, che fa tante cose, dalle leggi-decreto alla distribuzione di posti, viene il tempo della pacatezza, dei toni suadenti, del porgere tranquillo.

Insomma, dal populismo al traquillismo che il Di Maio di oggi bene incarna quando col miglior sorriso mediatico dichiara che il Governo non è a rischio e che, soprattutto, l’Unione europea non si sta spaccando, sia pure col tira e molla fra Giovanni Tria e Pierre Moscovici nella guerra dei numeri di Bruxelles vs Roma in base al report sulle previsioni economiche d’autunno.

Siamo, per certi aspetti, a quel “tutto va bene madama la Marchesa!” che, fino a prima del 4 marzo scorso, era aborrito e condannato in quanto usato, dagli altri, come una sorta di panacea per tutti i mali prodotti dal malgoverno e dai disonesti, mentre oggi risuona come garanzia del fare bene rispetto al malaffare. Già del fare, in nome e per conto del cambiamento.

Osservato più da vicino, questo “fare” non appare per dir così nella sua risultanza immediata, non tanto o non solo perché gli anziani ci ricordano che “fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, ma soprattutto perché quel tranquillismo di governo, spegnendo i toni più accesi, ammorbidisce nel contempo gli impulsi alle promesse facili in rassicurazioni più possibiliste. Sicché, dallo sbandierato tutto e subito, si sta passando a un grado intermedio che in questi giorni lo stesso sorriso televisivo ci va offrendo quasi in risposta ai cartelli con i loro esclamativi punitivi, tipo “basta con gli impuniti!”, rassicurando che è giusto punire chi sbaglia, che i processi devono essere più brevi, e che le sentenze necessitano di tempi stretti.

Ma, mi raccomando, con calma. Più avanti. Entro il 2019. Il tranquillismo ci assicura che il cambiamento è rinviato, ma solo di un anno.

Aggiornato il 12 novembre 2018 alle ore 10:27