Le cause e le colpe del declino della Repubblica ovvero l’abuso di democrazia

Il vento elettorale antisinistra, che spira in Europa, ha assunto in Italia le speciali caratteristiche del cosiddetto governo del cambiamento. In sostanza, il vento è cambiato, ma gira in tondo come quei mulinelli che d’inverno fanno ruotare le foglie morte. La Repubblica è avviluppata in un vortice che la schiaccia e dal quale non riesce a liberarsi. Negli ultimi tempi dobbiamo constatare che certe analisi tese a ricercare le cause e le colpe dell’evidente declino sono involontariamente umoristiche, anche perché effettuate in larga parte da intellettuali poco intelligenti, quanto a questo, che esaltarono il ’68 come moto rigeneratore morale, sociale, politico di un’Italia a loro dire ottusa e reazionaria, perché resisteva al progresso da loro incarnato. Alla democrazia borghese, asfittica e formale, costoro contrapponevano la democrazia popolare, integrale e sostanziale, che preferivano. Le loro frange rivoluzionarie intendevano imporla con la forza delle armi. E provarono davvero a “fare come in Russia” (la Russia curiosamente tornata di moda!). Insomma, quelli che accusavano l’Italia di essere poco progressista perché capitalista adesso la incolpano di non esserlo abbastanza, capitalista. Molti altri se la prendono con l’iperliberismo che avrebbe devastato e impoverito la nazione. E tanti altri ancora addebitano il presente stato di cose all’austerità imposta dal cerbero eurocrate, che farebbe di tutto per impedirci di crescere. Tutte le analisi in circolazione, italiane e straniere, seppure variegate, sono a parer mio fallaci perché al sodo sono basate e sottintendono l’idea che il declino sia determinato dalla democrazia imperfetta e incompiuta. Stavo per dire mutilata e tradita: due aggettivi e due concetti ricorrenti nella storia d’Italia, e tuttavia fuorvianti. Al contrario, per me la verità è che i mali e i responsabili sono riconducibili essenzialmente ad un complessivo assetto politico e istituzionale che troppi analisti e cittadini disconoscono, e che mi piace sintetizzare con l’espressione “abuso di democrazia”.

La democrazia, quando è abusata, diventa illiberale. L’Italia così mi appariva già negli anni Ottanta e lo documentai nel pamphlet “La democrazia illiberale”, un titolo che Giovanni Conso, il presidente della Corte costituzionale, definì “brillantemente polemico”. Poiché la mia dimostrazione era inoppugnabile, la si mise da parte senza confutarla, “argomentando” che era isolata e controcorrente, e tanto bastava. Però è indubbio che il sostantivo democrazia e l’aggettivo democratico sono stati snaturati da accezioni incoerenti, gravati di aspettative ed attese, travisati con scopi e qualità che ne distorcono il significato proprio. La distorsione non è solo una faccenda linguistica ma implica una tale adulterazione del sistema politico che, inganno dopo inganno, finisce per perdere soprattutto i cittadini in buonafede, che vengono defraudati dalla loro stessa ingenuità e finiscono con l’insorgere quasi fossero i capri espiatori della situazione mentre invece ne sono corresponsabili.

Quanto al sostantivo, democrazia significa che il popolo ha diritto di insediare i governanti graditi e di deporre i governanti sgraditi, non già che i governanti e il popolo abbiano il diritto di volere e ottenere tutto, anche a debito. Per impedirlo si imposero le Costituzioni, che dicono: “Elettori ed eletti non sono unti del Signore; sono fallibili e pericolosi; bisogna dividere e limitare i loro poteri”. L’abuso della democrazia è il contrario di tutto questo. A misura che apparentemente ne espande la forza, la indebolisce nella sostanza. A misura che la rende più popolare, fomenta nel popolo i risentimenti. A misura che insegue la chimera della giustizia sociale che hanno in testa le fazioni, discrimina contro la vera giustizia consistente nell’uguaglianza della legge per tutti.

Quanto all’aggettivo, democratico è venuto ad assumere connotati assurdi. A destra e sinistra hanno propagato una superestensione dell’aggettivo ‘democratico’ fino ad utilizzarlo come una bacchetta magica che renda buone le persone, le cose, i mezzi, gli scopi. Insomma con un significato tanto positivo quanto vago. Per esempio, quel Tizio è democratico: non vuol dire sostenitore della democrazia, bensì individuo politicamente raccomandabile. Oppure, magistratura democratica: non designa giudici e procuratori elettivi, bensì magistrati progressisti imbelliti da strabismo giuridico. Ancora, scuola democratica: non quella governata dagli alunni, ma quella dove l’insegnamento e i programmi realizzano una pedagogia egualitaria, conformista ed uniformatrice. Inoltre, genitori democratici: non quelli eletti dai figli, ma padri e madri amici della prole, piuttosto compagni e complici dei figli che loro educatori. Infine, incredibile a dirsi, la matematica democratica: quella alla portata di tutti, un’opinione da pazzi.

Aggiornato il 10 dicembre 2018 alle ore 12:08