Italia e Francia, un solo destino

Oltre alla riuscita manifestazione leghista in Piazza del Popolo a Roma, due eventi del fine settimana vanno menzionati, in sé lontanissimi. Parliamo della presentazione del 52mo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2018, presentato venerdì al Cnel e la protesta, sabato, dei Gilet gialli in Francia.

È legittimo domandarsi: ma come si combinano tra loro? Pensiamo che le analisi del gruppo di esperti dell’istituto di ricerca, focalizzate sulla situazione italiana, potrebbero in parte spiegare anche cosa stia accadendo in Francia. Molte, infatti, sono le analogie tra la condizione dei ceti medi transalpini e quelli italiani osservati dal Censis. Nelle “Considerazioni generali” del Rapporto si fa riferimento ad un sistema sociale, italiano, “attraversato da tensioni, paure, rancore, (che) guarda al sovrano autoritario e chiede stabilità, (che) rompe l'empatia verso il progresso”, che teme le turbolenze della transizione. Si tratta del medesimo sentimento collettivo che ha scatenato la contestazione alle istituzioni politiche e di governo nello Stato transalpino. Entrambe le società, quella italiana e quella francese, vivono una crisi, giudicata dal Censis di spessore e di profondità, che le incapsula in una realtà carica di rancore e d’incertezza per il futuro. Il vuoto della politica lascia spazio a un risentimento popolare che non è più trattenuto nel solco del confronto partitico ma si è trasferito nella “dimensione sociale fuori degli schemi consolidati”. La caduta di fiducia deborda in odio di classi, dal basso della società verso l’alto. La causa principale è lo squilibrio nella redistribuzione della ricchezza che genera ingiustizia sociale. La disillusione sugli effetti salvifici della globalizzazione economica trova appagamento in una soluzione affidata al ritorno della nazione sovrana quale rimedio alla rottura in atto del Pactum societatis. Per il Censis si tratterebbe di un’interpretazione arbitraria ed emozionale del concetto di sovranità. Nondimeno, è tale aspettativa che si colloca a base del consenso ai movimenti populisti.

Fin qui le somiglianze tra la situazione francese e quella italiana. Poi, però, ci sono le differenze. Il nostro Paese, come riferisce il Rapporto, ha già superato la fase della transizione da un’economia dei sistemi ad un ecosistema partecipato da attori individuali, portatori d’interessi e di diritti marcatamente parcellizzati che escludono il ricorso alla mobilitazione sociale. La Francia invece no. La rivolta alla quale stiamo assistendo si caratterizza per un’imprecisata istanza di rivendicazione che trova sintesi, al momento, nella fase della pars destruens e nella materializzazione della volontà di spazzare via l’establishment accusato di sordità nell’ascolto dei bisogni reali della popolazione. Tuttavia, tale moto di ribellione non riesce a canalizzarsi verso le forme organizzate della partecipazione politica, come invece è accaduto in Italia con l’affermarsi del grillismo e, per altri versi, con la trasformazione in senso nazionale-sovranista della Lega di Matteo Salvini. Ma è ipotizzabile che anche in Francia possa nascere qualcosa di analogo a ciò che oggi governa l’Italia.

Il presidente Emmanuel Macron, spaventato dalla pressioni della piazza che chiede le sue dimissioni, potrebbe essere indotto a scommettere sulla medesima carta giocata, nel 1968, da Charles De Gaulle. Il generale, di fronte al pericolo di un’involuzione autoritaria in risposta al dilagare violento della Contestazione studentesca, sciolse l’Assemblea nazionale e portò il Paese alle urne proponendosi come unica alternativa al caos. E vinse. Macron potrebbe essere tentato dal ripetere l’azzardo, nella speranza di cogliere in contropiede la protesta che non ha trovato ancora il modo di strutturarsi all’interno delle meccaniche democratiche. Potrebbe rilevarsi un clamoroso autogoal. A differenza del Sessantotto, l’evoluzione del quadro politico italiano di questi anni potrebbe ispirare i rivoltosi francesi all’individuazione di un nuovo paradigma partitico sulla scia dell’esperienza grillina, atteso che sia la destra radicale di Marine Le Pen sia l’estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon non sembrano in grado di capitalizzare, se non in quota parte, le ragioni della protesta. La realtà è che il rancore sociale di cui parla il rapporto del Censis esiste, in forme più o meno latenti, in tutti i Paesi della fascia mediterranea dell’Unione europea. Per superarlo non occorrono esorcismi. È un bene che esso stia emergendo per poter essere metabolizzato e trasformato in energia positiva. Al contrario, ogni tentativo dell’establishment di stroncare il processo di ricomposizione su altri presupposti della visione di futuro non farà altro che accrescere le aspettative popolari per soluzioni traumatiche e deflagranti della crisi. L’uomo della strada, francese o italiano non fa differenza, non crede più al dovere di sacrificarsi in nome di un futuro radioso promessogli dalle élite. Ciò che costui chiede è di riscontrare nel presente qualcuno dei benefici che le classi dirigenti hanno invece rinviato ad un altrove utopico.

Ciò che prima in Italia e oggi in Francia non è stato in discussione è il desiderio di ricostruzione di un ambiente sociale a misura anche dei ceti medi e meno abbienti e non soltanto delle élite. Superata la barriera del “quando”, il problema si è focalizzato sul come tale processo dovesse svolgersi, se dentro le istituzioni attraverso nuove forme partitiche inserite nel quadro democratico o fuori di esse mediante il ricorso alla mobilitazione sociale permanente, almeno fino al conseguimento dell’obiettivo demolitorio dell’intero sistema politico consolidato. I due Paesi hanno imboccato sentieri diversi. Ma non si esclude che essi potranno presto riunificarsi nel segno della comune lotta alle odierne istituzioni europee, luogo e simbolo della frattura insanabile tra popoli ed élite.

Aggiornato il 11 dicembre 2018 alle ore 11:42