Popolo e governanti

È stato detto che ogni nazione ha il governo che si merita. Ma è una mezza verità, sia perché può significare il contrario dell’intenzione dell’autore, cioè “cattiva nazione, cattivo governo”; sia perché il cattivo governo talvolta il popolo non lo merita proprio e resta un mistero perché se lo scelga.

Nell’elezione politica è insito il concetto di selezione, ma nulla garantisce che siano selezionati i migliori, per quanto possano essere conosciuti e riconosciuti. I partiti istituiscono scuole di partito ovvero, seriamente, scuole di politica, come se la politica potesse essere insegnata, e dai partiti poi! Lo scopo è di preparare governanti. La politica viene definita “arte del governo”. Lo è, eccome. Perciò se ne possono studiare e apprendere gli strumenti come si studia la metrica, non come si diventa statisti o poeti. Questi e quelli sono fiori rari che sbocciano inspiegabilmente in natura. Non possono essere seminati e coltivati, men che meno negli orti dei partiti politici.

Gli antichi Romani concedevano che il popolo volesse essere ingannato e pertanto era naturale che lo fosse. Ma ingannare il popolo non sempre è un’azione proditoria. Talvolta l’inganno può essere perpetrato per il bene del popolo e nasconde il suo bene, che il popolo ciecamente non vuole perseguire o non può discernere nelle circostanze date. Pare che Lincoln pensasse che si può ingannare tutto il popolo qualche volta e parte del popolo per sempre, ma non si può ingannare tutto il popolo per sempre. Come quasi sempre gli aforismi, anche questo del grande presidente americano ha margini di ambiguità. E se il popolo, tutto il popolo, viene ingannato di tanto in tanto oppure una sola volta ma irreparabilmente? La verità è che Lincoln esprimeva un pio desiderio mediante l’osservazione di certe regolarità storiche. Infatti solo la storia investiga gli inganni del passato, senza neppure giungere sempre a conclusioni univoche. Il bene supremo del popolo, l’unico vero “bene comune”, è la libertà, perché sola gli consente di riparare in pace gli errori, di limitarne il numero, di scongiurarne il più possibile.

Dunque, mentre non sappiamo con sicurezza in chi, in anticipo, possa nascondersi un buon governante, possiamo riconoscere con abbastanza precisione chi sicuramente non lo sarà o sarà addirittura pericoloso per sé e per gli altri, alla stregua di un pazzo furioso. Il paradosso dell’elezione sta in ciò, che non bisognerebbe scegliere chi appare migliore perché piace, ma scartare chi risulta certamente inidoneo sebbene ci piaccia. Insomma, il lato positivo dell’elezione consiste nel negarne l’essenza apparente.

Il problema delle elezioni, per me, non sta tanto nella qualità dei candidati, ma nella qualità del popolo che ha la fortuna di praticare la democrazia. Gli Ateniesi consideravano la loro democrazia un esempio di educazione per l’intera Grecia. La città: politica, leggi, costumi, era la scuola dell’Ellade. Questa concezione viene considerata vecchia e sorpassata dai nuovi uomini, la sedicente bocca del popolo, al quale adesso viene insegnato ben poco, sicché la democrazia come educandato fa ridere, trattandosi di prevalere con un’imposizione legalizzata, fino alla sopraffazione. Solo se la democrazia serve ad elevare la qualità morale e culturale degli ultimi, la politica viene fondata sul popolo senza pericolo di affondare in esso, come nel fango.

La democrazia non consiste soltanto nell’esercitare il potere, ma anche, appunto, nell’educare ad esercitarlo. Se no, è un mezzo fallimento. La quantità dei partecipanti è fondamentale eppure insufficiente senza la qualità. Per mantenerla amabile e vitale, la democrazia, occorre ben altro che le elezioni.

Aggiornato il 28 dicembre 2018 alle ore 11:00