La miniera esaurita dell’invidia sociale

“Vi ringraziamo tutti perché ci siete stati vicino e senza di voi non saremmo andati da nessuna parte. Abbiamo ancora tante cose da fare, siamo solo alla fine dell’inizio. Ieri sera vi abbiamo promesso che vi regaleremo una bella legge per tagliare gli stipendi a tutti i parlamentari della Repubblica”.

Così parlò il ministro dello Sviluppo economico e vicepremier Luigi Di Maio, in tenuta sciistica, accanto a Alessandro Di Battista, anche lui con cappello e giacca a vento, mentre augura un buon 2019 al suo popolo di creduloni in diretta Facebook dalle piste di sci.

Al di là dell’evidente imbarazzo che i due compagni/serpenti hanno palesato nel video, ancora una volta il capo politico dei grillini, in evidente affanno dopo sette mesi di Governo del nulla, si aggrappa disperatamente al logoro armamentario dell’invidia sociale. Dopo aver speculato in lungo e in largo sulle prodigiose risorse che la vendita del tanto bistrattato Air force Renzi avrebbe prodotto, facendo piovere dal cielo immense ricchezze a beneficio del popolino, il nuovo anno riparte con il taglio infinito degli stipendi dei parlamentari. Solo che, sia nel caso del velivolo di cui sopra e sia nei riguardi degli emolumenti di deputati e senatori, si tratta di briciole, in confronto alle coperture necessarie per esaudire le folli promesse elettorali su cui il Movimento 5 Stelle ha costruito la sua scalata politica.

In questo senso, indurre milioni di analfabeti funzionali a ritenere di grandezze simili il costo del reddito di cittadinanza e i risparmi derivanti dai tagli di facciata portati avanti dai grillini può funzionare dai banchi dell’opposizione. Ma quando si arriva nella stanza dei bottoni la demagogia è destinata a sciogliersi come neve al sole di fronte all’implacabile incalzare della realtà. Ciò ovviamente a prescindere dai tanti, troppi privilegi di cui gode il nostro “caro” sistema politico-burocratico.

Solo che, data la vastità e complessità dei problemi italiani, continuare a fare il Masaniello una volta conquistato il potere non può che condurre, politicamente parlando, verso lo stesso inesorabile destino di quel noto arruffapopolo seicentesco. In questo senso, mi sentirei di correggere quanto espresso dal vicepremier, nonché ministro del Lavoro: sfruttare ancora una volta l’antico riflesso di massa basato sull’invidia sociale non sembra essere la fine dell’inizio, bensì l’inevitabile inizio della fine per chi non sembra avere molti altri argomenti da spendere.

Aggiornato il 04 gennaio 2019 alle ore 20:55