La scommessa dei boat-people

Chi scommette sui boat-people? Chi ci guadagna grandi fortune, come criminali, miliziani e trafficanti di ogni genere: dei Re Mida a rovescio che convertono donne e uomini nati liberi in naufraghi e disperati. Gli altri profittatori sono gli Stati da cui fuggono, che prima li lasciano liberi di andare (ricattando politicamente i Paesi di accoglienza) e poi ne sfruttano le rimesse. Governi africani corrotti, caotici e incapaci con la complicità delle grandi fedi religiose e dell’Onu premono affinché l’immigrazione legale diventi un “diritto umano universale” dell’uomo-migrante, tacendo sul fatto che chi parte proviene da continenti in realtà ricchissimi, come l’Africa e l’America Latina, in cui una sparuta minoranza oligarchica ha accesso a tutte le risorse naturali e agli aiuti finanziari internazionali. Così si confeziona il “Migration Compact” non dicendo una sola parola né sulla necessità assoluta del contenimento del trend esplosivo delle nascite nelle aree più disastrate del mondo, né sull’altro vero diritto umano assoluto: ovvero quello a “non emigrare”, trovando giustizia, pane e lavoro nella terra dove si è nati. L’Occidente illuminista e quello catto-comunista della “Liberazione dei Popoli” ha completamente dimenticato la lezione del Che: lottare, a costo della propria vita, pur di liberare i popoli oppressi dai loro regimi corrotti e da chi li sostiene a livello internazionale.

Costoro, cattolici e militanti di sinistra, sono diventati tutti comodi pantofolai, facendo finta che si può dare accoglienza a tutti comprimendo interi continenti del bisogno in un fazzoletto minuscolo di terra, sia esso l’Italia o l’Europa occidentale. Si può fermare questa macchina diabolica che annega i bisognosi e rende gli autoctoni degli odiatori assoluti di questa scellerata immigrazione che nessuno sa governare? Forse sì. Applicando due regole banali. Primo: fare un contro mercato dei falsi asilanti che non si riescono a espellere. Il ritorno di ciascuno di loro nei Paesi di origine, cioè, ha un “valore di mercato” da riconoscere allo Stato che se li riprende indietro. Serve solo un fondo europeo, un Trust vero e proprio, per cui quei denari vengono vincolati alla ricostruzione dei Paesi africani “esportatori” di disperati che poi possono proporre, a loro scelta, l’utilizzo delle quote spettanti per la (ri)costruzione di infrastrutture, impianti produttivi, bonifica urbana. Basterà associare al Trust un numero consistente di grandi imprese europee capaci per know-how e fatturato di realizzare le opere richieste, scegliendole di volta in volta per semplice sorteggio e rigorosamente a rotazione.

Ma, come insiste a dire Gianrico Carofiglio, il problema non sono i boat-people. Nient’affatto: molti, ma molti di più sono gli immigrati che arrivano qui con un titolo provvisorio di soggiorno per turismo o studio e che poi non tornano indietro una volta spirata quella scadenza. Bene, bisogna fare a tutti costoro un discorso semplice e chiaro, una volta verificato che non abbiano diritto a restare in Italia, del tipo: “o tu mi documenti che hai un reddito minimo annuale per mantenerti, o te ne torni a casa”. Starà poi a tutti costoro (asiatici, latino americani, ecc.) stabilire “come” vorranno dimostrare questa loro capacità produttiva in modo ufficiale. Li si costringerebbe, cioè, a ricercare la via della legalità, magari denunciando in massa il lavoro nero e le forme odiose di sfruttamento cui sono sottoposti. Farli emergere significherebbe per l’Italia maggiori entrate fiscali e la possibilità di mantenere livelli minimi di prestazione sia nel welfare assistenziale che nella previdenza. L’enorme vantaggio per noi, però, sarebbe tutto politico: aiuteremmo i primi “a casa loro” (magari con ulteriore bonus calibrato sul calo degli arrivi!) e premieremmo l’immigrazione “buona” a casa nostra.

Aggiornato il 23 gennaio 2019 alle ore 10:11