L’atto politico dei magistrati di Catania

È difficile trovare una qualche differenza tra “un atto politico” ed un “atto dettato da ragioni politiche”. Sta di fatto che questa differenza, ravvisata dai magistrati del Tribunale dei Ministri di Catania, costringerà il Parlamento a decidere se mandare a processo il ministro dell’Interno Matteo Salvini e, soprattutto, imporrà allo stesso Parlamento di stabilire se la politica del Paese nei confronti dell’immigrazione viene decisa dalle Assemblee dei rappresentanti eletti dal popolo o dalla magistratura.

Non è facile capire se i tre componenti del Tribunale dei Ministri di Catania si siano resi perfettamente conto della portata della loro richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del leader della Lega. Ma è fin troppo evidente che la scoperta di una differenza tra “atto politico” ed “atto dettato da ragioni politiche” non solo riapre lo scontro ventennale tra politica e magistratura dimostrando come il problema non era costituito da Silvio Berlusconi e, prima ancora, da Giulio Andreotti o da Bettino Craxi e dall’intera classe politica della Prima Repubblica ad eccezione dei comunisti e dei democristiani di sinistra, ma pone una questione di effettiva agibilità democratica in un Paese in cui alcuni singoli magistrati possono ribaltare gli indirizzi della politica nazionale richiesti dal voto della maggioranza dei cittadini.

Nessuno dubita che il Parlamento respingerà la richiesta dei magistrati catanesi. Se avvenisse il contrario, il Governo giallo-verde si sbriciolerebbe in un istante. Ma il voto parlamentare non riuscirà in alcun modo a cancellare la convinzione, che grava ormai da alcuni decenni sul nostro Paese, secondo cui il modo più proficuo di combattere un avversario politico è quello della via giudiziaria ammantata di legalità formale ma destinata a stravolgere le regole della democrazia e dello stato di diritto.

In questa luce appare inutile cercare di capire quale possa essere la differenza tra “atto politico” ed “atto dettato da ragioni politiche”. Per la semplice ragione che la differenza in questione è stata annullata dagli stessi magistrati dei ministri di Catania. L’“atto politico dettato da ragioni politiche” lo hanno compiuto loro!

Aggiornato il 28 gennaio 2019 alle ore 15:27