Recessione: sì, no, forse

L’Italia, secondo i dati Istat sul Pil del quarto trimestre 2018, è in recessione tecnica. Non è una buona notizia, ma non è inattesa e non è in sé catastrofica. Prendiamola come un campanello d’allarme che segnala un pericolo al quale si deve repentinamente porre riparo. Di regola, toccherebbe alla politica fare argine alle minacce di crisi economica con scelte appropriate. Nella realtà, maggioranza e opposizione sono impegnate a rimpallarsi le responsabilità su quel segno meno all’andamento del Prodotto interno lordo, comparso in finale dello scorso anno. Lasciateci dire che si tratta di un esercizio polemico assolutamente stucchevole. Sostenere che la colpa della stagnazione sia dell’odierno Governo in carica da otto mesi è una sciocchezza, come lo è parimente l’idea che tutto il male debba addebitarsi a chi c’era prima.

La verità è che il dato negativo è la risultante della combinazione di concause endogene ed esogene, congiunturali e strutturali, che solo in parte scaturiscono dall’agire della politica sul piano nazionale. Di là da tutti i fattori, arcinoti, che hanno determinato il peggioramento della domanda estera, l’attenzione dovrebbe focalizzarsi  su quei limiti strutturali del sistema produttivo italiano che sono sintetizzabili in tre punti nodali: lo sbilanciamento tra export e mercato interno; il ruolo ancillare che parte del manifatturiero italiano svolge rispetto al sistema industriale tedesco; l’eccessiva incidenza del comparto dell’automotive nell’aggregazione del Pil italiano. Tali limiti strutturali si aggiungono alle negatività endemiche di un sistema economico fortemente condizionato dal peso della burocrazia, dalle difficoltà d’accesso al credito per le imprese e per le famiglie e dal pessimo funzionamento della giustizia civile. Se oggi la produzione italiana ristagna lo si deve principalmente al crollo del settore dell’auto che continua la lunga fase di flessione che data dalla fine del secolo scorso.

Nel 2017 in Italia sono state prodotte 712mila autovetture contro 1milione 200mila di pezzi realizzati nel 2001. Ora, se si considera che il comparto dell’automotive resta tra le prime voci del manifatturiero, è di tutta evidenza che un crollo del settore trascini al ribasso il Pil. Non solo. Una quota della produzione industriale nazionale ha come unico mercato di sbocco la Germania. Se la locomotiva tedesca rallenta è inevitabile che il vagone italiano freni. Negli ultimi anni molto si è guardato al lato dell’export e molto meno allo sviluppo del mercato interno. Conseguenza di tale scelta è che se il commercio mondiale gira, l’Italia se ne avvantaggia. Se, al contrario, aumentano i fattori di rischio connessi alla problematica uscita del Regno Unito dall’Unione europea, alla guerra dei dazi intentata dagli Usa alla Cina e, in parte, all’Europa e all’accresciuta vulnerabilità dell’economie dei Paesi emergenti, l’Italia va in recessione. A tale evenienza il Governo giallo-blu risponde con un cauto ottimismo. Il convincimento di grillini e leghisti è di aver messo in piedi per tempo una manovra finanziaria espansiva d’impronta anticiclica. Per verificare se funzioni bisognerà attendere almeno la seconda metà dell’anno quando le misure adottate inizieranno a dispiegare effetti. A cominciare dal Reddito di cittadinanza che è tale solo nominalmente.

Viste le modalità di erogazione sarebbe più corretto parlare di buoni–spesa, cioè di una partita di giro di risorse finanziarie destinate ai consumi interni e attinte da quei 50miliardi di euro che il Ministero dell’Economia conta di procurarsi attraverso la collocazione sul mercato, nel 2019, di uno stock di Titoli di Stato, da emettere in aggiunta ai Buoni del Tesoro per 340miliardi occorrenti a rinnovare quelli in scadenza. La formula della carta-acquisto obbliga i destinatari della misura a comprare beni di prima necessità, il che rimetterà in movimento la macchina produttiva. Al più bisognerà vigilare sul rischio che l’improvvisa ripresa dei consumi faccia schizzare in alto l’indice delle importazioni, visto che le modalità di utilizzo della “carta” non impongono agli utenti di approvvigionarsi di soli prodotti italiani. Comunque, il Reddito di Cittadinanza è pur sempre un provvedimento tampone che serve a lenire il male ma non a guarirlo. Se si si vuole rimuovere il problema della scarsa crescita si deve ripensare il modello di sviluppo del Paese. E per quanto a qualcuno possa provocare l’orticaria, si dovrà ricominciare a parlare di un piano industriale per l’Italia. Visto che le politiche del liberi-tutti ci hanno sbarcato dove siamo, è giunto il momento di riconsiderare l’importanza di darsi una direzione di marcia verso la quale procedere. Quindi, ripresa accelerata degli investimenti pubblici per rafforzare la domanda aggregata, ma sostenuta da una visione di sviluppo che impedisca di sprecare soldi in imprese inutili o dannose. Non è più tempo di cattedrali nel deserto o di regali da fare agli amici degli amici.

Le risorse vanno concentrare dove maggiori sono i margini d’incidenza dei moltiplicatori di ricchezza. La ragione per la quale questo Governo mantiene un alto grado di consenso, nonostante il fuoco incrociato a cui è quotidianamente sottoposto, risiede nella fiducia dell’opinione pubblica a credere che la ripresa sia vicina. A riguardo, è significativo il dato Istat che stima un aumento, in gennaio, del clima di fiducia dei consumatori misurato in base ad un indice che passa da 113,2 a 114,0. Ancor più sorprendente è l’impennata dell’indicatore di fiducia registrato nel settore delle costruzioni che varia in un solo mese da 130,3 a 139,2. È evidente che su tale stima abbia fatto aggio l’annuncio dell’imminente sblocco dei cantieri di molte opere pubbliche di piccolo e medio livello. Com’è noto, la ripartenza del settore delle costruzioni è il segnale più affidabile di una ripresa in corso. Peccato però che non a tutti in Italia e in Europa faccia piacere che leghisti e pentastellati s’intestino la vittoria sulla scommessa della manovra finanziaria in extradeficit. Allora, sarà un caso, spunta da qualche parte una vocina che fa balenare come imminente l’arrivo di una patrimoniale sugli immobili. Tanto per seminare un po’ di panico tra gli investitori. Ma guarda la coincidenza!

Aggiornato il 05 febbraio 2019 alle ore 10:33