Savona alla Consob, l’odore acre di una sconfitta

Per la presidenza della Commissione nazionale per le società e la Borsa (Consob) sembra fatta, anche se trattandosi di affare della politica italiana il condizionale è d’obbligo. Dovrebbe dunque essere l’attuale ministro alle Politiche comunitarie, Paolo Savona, il prossimo presidente dell’organismo di vigilanza sulla Borsa. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa Adnkronos, il Movimento Cinque Stelle ne appoggerebbe la nomina rinunciando al suo candidato, l’economista Marcello Minenna. Per quest’ultimo sarebbe pronto il premio di consolazione: la nomina a segretario generale della medesima autorità di vigilanza dei mercati finanziari. Così si costituirebbe un ticket di tutto rispetto, dal punto di vista delle competenze professionali, per garantire all’organismo il ruolo che gli spetta, insieme al presidio dell’ordinato svolgimento delle negoziazioni borsistiche, nel controllo della trasparenza e della correttezza dei comportamenti dei soggetti che operano sui mercati finanziari. Perché l’indicazione di Savona al nuovo incarico sia resa pubblica occorre superare lo scoglio della “Legge Madia” che consente a pensionati di ricoprire incarichi nella funzione pubblica per un tempo non superiore a un anno e senza diritto a compenso. Giacché l’articolo 47-quater del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248 convertito nella Legge 28 febbraio 2008, n. 31 fissa a sette anni la durata in carica dei membri della Commissione, si rende necessario un provvedimento ad hoc che consenta al “pensionato” Savona di assumere il pieno mandato al posto, vacante da sei mesi, di Mario Nava costretto alle dimissioni dopo che Lega e Cinque Stelle avevano sollevato un problema d’incompatibilità connesso alla sua posizione di alto dirigente dell’Unione europea. Benché sia trascorso troppo tempo prima che il timone tornasse nelle giuste mani, la maggioranza giallo-blu ha trovato la quadra scegliendo per il meglio.

Si può stare certi che Savona e Minenna sapranno guidare la Commissione con mano ferma ed esperta in un momento non proprio agevole per l’economia italiana. Tutto bene, dunque, quel che finisce bene. Non proprio. A riguardo, nella soddisfazione generale ci sia consentita una voce di dissenso. Di ogni decisione politica, in particolare di quelle che sono destinate ad incidere sull’andamento complessivo della società, bisognerebbe sempre fare il conto di ciò che si guadagna e di ciò che si perde. Domani il Governo dirà quanto profittevole sia stata per il Paese la scelta di Paolo Savona alla testa della Consob. Ma quanti si soffermeranno a pesare l’uscita dal Governo di un ministro, non solo personalmente autorevole, ma dotato di una visione eterodossa del futuro dell’Italia all’interno dell’Unione europea?

Paolo Savona, già sacrificato per il ruolo di ministro dell’Economia a causa delle sue vedute di politica monetaria non collimanti con gli indirizzi dati dall’odierno inquilino del Quirinale, avrebbe dovuto servire il Paese mettendo a frutto la sua gigantesca conoscenza delle meccaniche di funzionamento della Ue nel momento in cui l’Italia sarebbe stata in grado di sollevare in sede comunitaria il tema spinosissimo della revisione dei Regolamenti e dei Trattati di funzionamento dell’Unione. Un assaggio di ciò che sarebbe stato il contributo italiano al processo di rinnovamento dell’organismo sovranazionale comunitario Savona l’aveva offerto redigendo un’analisi/programma d’azione che avrebbe potuto costituire la piattaforma di confronto con gli altri Paesi membri. Tuttavia, il suo documento “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”, risalente al settembre dello scorso anno, non è stato apprezzato a dovere in patria come avrebbe meritato, al punto che anche dall’esterno è stata avvertita la graduale marginalizzazione del ruolo stesso di Savona nelle dinamiche decisionali del gruppo di comando governativo. È per questa ragione che l’odierna indicazione, in apparenza molto gratificante, di spedirlo alla guida della Consob ha il retrogusto amaro di un Promoveatur ut amoveatur.

Ora, se al Governo qualcuno pensa di interpretare l’uscita di Savona come la soluzione ad un problema d’ingombro, sbaglia di grosso. L’addio del ministro dovrebbe, al contrario, essere vissuto alla stregua di una grave perdita, visto che la qualità intellettuale di Savona concorreva a dare respiro ad un Esecutivo che, al netto di qualche lodevole eccezione, di spessore non ne ha tantissimo. D’altro canto, per chi è nostalgico delle interazioni generate dalla politica novecentesca l’idea della presenza di un grande vecchio a vigilare su una combriccola di sbarbatelli non sarebbe un’eresia. Si parla di Governo come un tempo si parlava di Ellade. Ma nel mondo ellenico c’erano Sparta e Atene, come oggi nell’insieme giallo-blu ci sono grillini e leghisti. È ipotizzabile che non tutti festeggeranno l’uscita di Paolo Savona e, forse, qualcuno dovrà dolersi per l’accaduto. A lume di naso pensiamo che a mettere il broncio saranno i leghisti. E se costoro versassero qualche lacrima sull’addio di Savona, nella consapevolezza di aver fatto una cavolata a non trattenerlo adesso che in Europa le cose potrebbero cambiare, farebbero la cosa giusta.

A Matteo Salvini vorremmo idealmente inviare un attestato di umana vicinanza per lo scivolone rimediato: “Costernati per la perdita di Savona all’azione di Governo, ci associamo a un disappunto che è soprattutto il nostro”.

Aggiornato il 06 febbraio 2019 alle ore 11:17