Sulle banche il marchese del Grillo sta con la Germania

Questa Unione europea somiglia a un soufflè mal riuscito. Per quanto si rimescolino gli ingredienti, in forno si sgonfia. A chi la colpa? Al cuoco o al cucchiaio? A prestare ascolto ai fan dell’europeismo tout court se nell’Unione non siamo una cosa sola è perché ci sono i cucchiai sovranisti a impedirlo. Giustificazione comoda ma bugiarda. La verità è che, in cucina, non c’è alcuna voglia di amalgamarsi. Ogni chef tifa per le sue ricette e si fanno la guerra delle stoviglie. Vince puntualmente chi ha manici più solidi. Fuori di metafora, la prova che gli Stati forti concepiscano l’Unione esclusivamente a condizione che sia come loro la desiderano viene dalla cronaca quotidiana.

Il giornale Mf-Milano Finanza ha pubblicato una notizia, snobbata dal dibattito politico nostrano impegnato a elucubrare sul nulla cosmico, a proposito dell’ennesimo salvataggio pubblico in Germania di una banca del territorio, di proprietà di due Länder ma con un respiro internazionale. Già, è la stessa Germania che per bocca dei suoi più autorevoli esponenti governativi non perde occasione di impartire ai Paesi amici lezioni di rigore economico ed etico, ma che quando si tratta dei propri interessi se ne frega delle regole e dei vincoli comunitari. È il caso della Norddeutsche Landesbank (Nord/LB), storica banca pubblica specializzata negli investimenti nel settore rurale, nell’immobiliare e nel comparto marittimo delle costruzioni navali. La proprietà è degli Stati federali della Bassa Sassonia e della Sassonia-Anhalt. La banca, oltre che in patria, ha sportelli nelle principali capitali finanziarie mondiali. La landesbank da tempo naviga in cattive acque. Giunta nel 2016 sull’orlo del fallimento, indotto dalla perdurante crisi del settore navale, ha chiuso in attivo il bilancio 2017 grazie ad un’operazione di alleggerimento del credito allo shipping per 4,7 miliardi di euro. Ma lo storno di una quota dei crediti deteriorati non è bastato a rimettere i conti in ordine.

Perciò, come denuncia Mf-Milano Finanza, è intervenuto in soccorso il portafoglio pubblico con un’immissione di liquidità di 4 miliardi di euro. I due Länder, azionisti al 65 per cento della banca, verseranno 1,5 miliardi e presteranno garanzie per un 1 miliardo. Altri 1,2 miliardi di euro saranno iniettati da Sparkassen, l’associazione delle casse di risparmio tedesche, anch’essa afferente al sistema pubblico. E il bail-in e tutte le regole draconiane che la Banca centrale europea pretende vengano osservate alla virgola dalle banche e dai governi dei Paesi Ue? Valgono per gli altri non per i tedeschi, a conforto del sospetto che questa Unione somigli sempre più a una fattoria orwelliana dove tutti sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri.

Veniamo di fresco dal caso Carige per la cui soluzione la Banca centrale europea ha indicato una roadmap che prevede che l’istituto di credito ligure vada sul mercato per eventuali fusioni o per essere acquistato da altri soggetti imprenditoriali più solidi. Contro il tentativo dell’azionista di riferimento di opporsi al diktat, l’autorità centrale di Francoforte non ha esitato a ordinare il commissariamento della banca. Sarebbe dovuta valere la medesima indicazione per la Nord/LB, ma non è stato così. Due fondi d’investimento, Cerberus e Centerbridge, hanno presentato un’offerta privata da 600 milioni di euro per l’acquisto del 49 per cento del pacchetto azionario. Proposta respinta al mittente. Mf-Milano Finanza riporta una dichiarazione del premier della Bassa Sassonia, Stephan Weil, che ha valutato l’intervento pubblico “la migliore opzione possibile”. L’intervento pubblico, però, trucca le carte della libera concorrenza ma, trattandosi della Germania, nessuno osa opporsi.

Interpellata sulla vicenda, la Commissaria europea alla concorrenza, la danese Margrethe Vestager, ha fatto sapere che Bruxelles “è in contatto con le autorità tedesche”. Un comportamento pilatesco, rivelatore di un convincimento radicato nell’Unione circa l’effettiva disparità tra Stati, società e sistemi economici, che difficilmente un pezzo di carta infarcito di alti ideali e di buone intenzioni potrà sovvertire. Non si tratta di essere sciovinisti, ma realisti.

Posto che le battaglie contro i mulini a vento non danno buoni frutti, purtuttavia il governo italiano potrebbe tutelare più efficacemente l’interesse nazionale. L’esperienza di questi anni ha mostrato che, in caso di crisi bancarie, sia preferibile ricorrere all’intervento pubblico piuttosto che aggredire i privati, scatenando il panico e mettendo a rischio l’ordine sociale. Sul banco degli imputati c’è il Bail-in. Si tratta dello strumento di risoluzione delle crisi bancarie approntato in Europa e introdotto in Italia dal 1 gennaio 2016 mediante il recepimento della direttiva europea Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive). La procedura prevede che a operare il salvataggio di una banca in default siano i privati che hanno investito in azioni, in obbligazioni e in depositi superiori a 100mila euro presso la medesima banca. Il bail-in non soltanto è osteggiato dai risparmiatori ma suscita diffidenze e perplessità anche nel mondo bancario. Una buona battaglia sarebbe quella di espungerlo dal nostro ordinamento, in vista di una più complessa azione di forza per convincere i partner dell’Unione a ripensare il sistema di tutela del risparmio all’interno dell’Unione e, a cascata, il ruolo e i poteri della Banca centrale europea. Perché gli altrimenti bellicosi grillini non ci mettono mano ma preferiscono continuare a giocare con le armi di distrazione di massa del tipo di quella che spaccia per una conquista epocale l’iniziativa di ridurre il numero attuale dei parlamentari? La verità è che essi temono di schiantarsi contro il muro del rifiuto tedesco. E loro, i vessilliferi dello sbandierato cambiamento, preferiscono vivere. D’altro canto, mai la Germania consentirebbe ad altri ciò che consente a se stessa. E poi dicono che i cattivi sono gli italiani che guardano in cagnesco l’Europa.

Aggiornato il 08 febbraio 2019 alle ore 10:47