Problemi del Cavaliere e non solo

Difendersi è obbligatorio, quando si perde, anche perché c’è sempre una via crucis da iniziare, ma con qualche speranza. Nel caso della non brillante situazione postelettorale di Forza Italia e a proposito, tra l’altro, della carenza di un gruppo dirigente e di una struttura degna di questo nome per il movimento berlusconiano, non da oggi il nostro giornale ne ha evidenziato le assenze e le carenze.

Le osservazioni dell’oggi e in merito alle difese che un Antonio Tajani sempre compito ha avanzato, sono bensì necessarie ma evidenziano un fondo di debolezza proprio nel punto che più stava e sta a cuore, anzi al cuore, del problema. Ovvero quelle alleanze che, pure, non hanno consentito il superamento della soglia del 10 per cento, non solo ma l’immancabile invocazione alla Udc e alle altre “forze centriste” è certamente utile, ma tali forze non sembrano molto in grado di recare consistenti dosi di ossigeno ad hoc.

Il “che fare” sembra dunque un interrogativo obbligatorio, sullo sfondo di una situazione nella quale pare sempre più chiaro come, da un lato il ruolo di Matteo Salvini svolga non solo il gioco di centrocampista ma di conduttore del gioco tout court, e non soltanto nella maggioranza governativa con un M5S sconfitto nelle urne, ma nella necessaria costruzione delle prospettive future con una maggioranza della quale, pur avverandosi le speranze di Silvio Berlusconi in un collasso vicino, resta fermo l’impegno salviniano del quaeta non movere, a meno che non siano gli alleati pentastellati a rompere, a imporre il blocco della Tav o a rifiutare alle Regioni il nuovo regime fiscale nel segno di una più consistente autonomia o a cambiare gioco nella imminente e non sottovalutabile votazione al Senato per la sua incriminazione.

Al di là delle verifiche di un Salvini sempre attento sia alle inevitabili convulsioni dei Cinque Stelle che alle future alleanze, sarà comunque il risultato europeo a chiarire ulteriormente un quadro nel quale è comunque probabile che il capo leghista ritenga poco conveniente la riproposizione di un centrodestra simile a quello del passato, più funzionante in elezioni locali che in elezioni nazionali, con la conseguente domanda: se lo schema di Lega più cespugli sia più a rischio rispetto ad una coalizione allargata, più unita e più innovativa. Il che, ad ogni modo, suggerisce appunto un quadro di stabilità a meno che…

In questi frangenti si muove, con la prudenza che gli è consueta, il Presidente del Consiglio ognor sorridente ma non nel caso europeo che l’ha visto partecipe con uno dei suoi aulici discorsi che, a quanto pare, non hanno fatto breccia negli aridi cuori dei rappresentati politici a Bruxelles e che, invece dei complimenti, gli hanno riservato un epitteto degno di Collodi evocando il simbolo di quel Pinocchio non sconosciuto sia dentro che fuori del nostro Paese e comunque non infrequente nella politica, a cominciare da quella italiana di oggi. E pure di ieri.

Ma qualcuno si è chiesto, ma il placido Giuseppe Conte col suo bon ton, e l’eleganza e le buone maniere, si meritava il titolo di burattino? Per l’eventuale risposta rivolgersi a Di Maio-Battista e soci, che della cattedra degli insulti sono i più autorevoli rappresentanti.

Aggiornato il 15 febbraio 2019 alle ore 11:37