Europee, speranze e reti di Salvini

mercoledì 13 marzo 2019


Si sa, il 2019 sarà l’anno delle elezioni europee. Nel bene e nel male. Un’elezione che sembra, anzi è, poco sentita per ragioni che tutti sappiamo. Ma il problema non è questo o soltanto questo. Il problema, per noi che siamo e vogliamo essere europeisti, attiene sia al risultato com’è ovvio, sia alla preparazione dello stesso, sia al che fare dopo. A cominciare da adesso.

Qualche segnale di questa scadenza è avvertibile persino nello spettacolo di una coalizione, unica al mondo come alleanza di due opposti, il cui perenne e inesausto presenzialismo mediatico sta confermandosi non solo o non tanto come un continuum elettoralistico, ma soprattutto come l’incedere di uno speciale e riammodernato spettacolo con le cadenze di un Circo Barnum, sia pure sui generis.

È stato scritto più volte che se nel trentennio ’60-’80, quando è stato dissipato un vero e proprio tesoretto dovuto al miracolo economico creando, per converso, un debito pubblico a dir poco colossale, ci fosse stata “l’Europa a richiamare chi governava a non perdere di vista le compatibilità di bilancio, oggi l’Italia potrebbe competere ad armi pari con Germania e Francia per la leadership dell’Ue”. Ma tant’è.

Il fatto è che a cominciare dall’Esecutivo bipartitico in carica - senza ripetere la definizione circense - non si avverte uno speciale clima immerso nelle attese e nelle speranze di elezioni che, semmai, paiono un passaggio obbligato, una scadenza inevitabilmente fissa eppure diversa, meno impegnativa rispetto all’appuntamento politico nazionale se non addirittura a quello regionale-locale.

Lo si nota a cominciare dalla presenza, invadenza, immanenza mediatica delle dichiarazioni, innanzitutto dei due “vice” dai quali non è fino ad ora trasparso il significato politico della scadenza europea, i cui esiti sono inevitabilmente connessi alla soluzione di non pochi problemi che ci affliggono, a cominciare dal binomio economia & occupazione sullo sfondo delle articolazioni, anche conflittuali dei due grandi, Cina e Usa, col rischio di un’Europa non soltanto soccombente rispetto a queste superpotenze ma più povera perché relegata ai margini dei flussi e dello sviluppo economico mondiale.

Non è detto che alle Europee ci giocheremo tutto. Certamente ci giocheremo tanto.

È stato giustamente rilevato dal nostro direttore quanto di incertezza traspiri dall’operato di un Presidente del Consiglio messo a Palazzo Chigi non da un’elezione ma da una designazione alla cui aggettivazione non può sottrarsi il significato del termine partitico che, se non andiamo errati, era stato bandito se non addirittura cancellato dagli empiti del leggendario nuovo che avanza, rimasto appunto nella leggenda e nel frasario auto-elogiativo dei rivoluzionari a parole, soltanto a parole. Nei fatti, poco o punto.

Nelle scelte, nelle designazioni, nelle cariche ciò che siamo fino ad ora riusciti a cogliere è l’antico ritorno del sempre uguale, ovverosia la prevalenza delle finalità di e del potere con alle spalle i suggerimenti del partito referente. Intendendo per partito anche e soprattutto il M5S che non a caso ha mandato in prepensionamento il fondatore princeps, proprio quel Beppe Grillo che da anni ha urlato a destra, a manca e al centro gli insulti più gravi e più grevi nei confronti della immonda (allora) partitocrazia. Oggi, nel fiume delle parole che ci sta sommergendo da mane a sera, emerge non soltanto la volontà di coprire un vuoto in virtù delle declamazioni mediatiche, ma anche la consapevole - e ben studiata da chi se ne intende - maestria nell’inseguirsi di promesse e di proclami come surrogati, come spinte, come giuramenti, e dunque come richieste di fiducia ovvero di voti.

In questo senso siamo in una sorta di campagna elettorale senza fine, e già da subito dopo il 4 marzo, in una gara nella quale l’abilità e l’esperienza di un Matteo Salvini non può che vincere anche grazie ad una tiepida, tiepidissima opposizione nella quale, tuttavia, si sta scorgendo se non una rinascita almeno un ritorno alle vecchie e non dimenticate usanze mediatico-elettoralistiche-oppositorie di un leader come Silvio Berlusconi al cui giudizio non sta sfuggendo la negatività della giravolta dell’alleato Salvini nelle cui non del tutto vane speranze sta un pescaggio sempre più fruttuoso nelle acque di Arcore. Una pesca le cui reti si stanno approntando per l’appunto per queste Europee.


di Paolo Pillitteri