Una fiammella italiana a illuminare la notte libica

Nei giorni scorsi abbiamo espresso giudizi molto severi sull’immobilismo del Governo Conte in relazione al precipitare della crisi in Libia. Ma ieri il quotidiano “la Repubblica” ha fatto trapelare la notizia che una delegazione di emissari del generale Khalifa Haftar sarebbe giunta in segreto a Roma per intavolare colloqui con il premier italiano Giuseppe Conte.

Se riscontrato, si tratterebbe di un fatto di estrema importanza da salutare positivamente. Per molte ragioni. La prima delle quali è che si dimostrerebbe che l’Italia non sia stata espunta dalla soluzione del puzzle libico come, invece, avrebbero desiderato alcuni dei protagonisti esteri dello scontro in atto. La seconda attiene a una logica considerazione: se Haftar riconosce il ruolo di Roma vuol dire che in questi anni l’intelligence e la diplomazia italiane hanno lavorato proficuamente a inculcare negli interlocutori locali l’idea di Paese super partes che l’Italia garantirebbe rispetto alle parti in conflitto. La terza riguarda l’ansia da vittoria che potrebbe aver colto l’apparentemente gelido generale Haftar. Il leader delle forze al momento preponderanti, sebbene sostenuto da un’ampia platea di sponsor internazionali, potrebbe essere preoccupato dalla gestione del dopo-vittoria. Una volta al potere e pagate le cambiali politiche e commerciali rilasciate ai creditori, Haftar dovrà misurarsi con il non facile compito di ricostruire un Paese devastato nell’economia interna, nelle dinamiche istituzionali e nella qualità della vita dei suoi abitanti. Un’opera ciclopica che non potrà affrontare da solo e che la maggior parte dei suoi sponsor, seppur danarosi, non è attrezzata a sostenere.

La grande qualità del know-how, delle strutture e delle competenze che l’Italia può garantire rappresenta un fattore di tranquillità e un valore aggiunto per chiunque, conquistato il potere in Libia, voglia conservarlo senza scatenare lo scontento delle popolazioni civili. Da ciò si comprenderebbe la decisione di Haftar di non chiudere con Roma ma di accettare di riconoscerle un ruolo da playmaker nella fase negoziale. Non si può escludere che sulla decisione del generale libico abbia fatto presa anche la visita che, lo scorso 3 aprile, il premier Conte ha fatto all’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, che è il principale sostenitore (e finanziatore) del fronte di forze schierate con l’attuale capo del Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale libico riconosciuto dalla Nazioni Unite, Fayez al-Sarraj.

Confidiamo, dunque, che il nostro Governo possa ottenere risultati positivi nella mediazione per un cessate-il-fuoco. Tuttavia, non siamo inclini a fidarci dei libici. Troppi accordi sono stati sottoscritti in questi ultimi sette anni che sono durati lo spazio di una notte. Per verificare la buona fede di Haftar un modo c’è: accetti il potenziamento della presenza militare italiana sul campo. Non ci stancheremo mai di dirlo, per far tacere le armi in una prospettiva di cessate-il-fuoco durevole si deve consentire il dispiegamento di un nostro contingente come forza d’interposizione tra le parti in conflitto e a garanzia del mantenimento dell’eventuale tregua negoziata. Le giuste parole e i buoni propositi non sempre riescono a fermare le guerre. In Libia di sicuro non ci sono riusciti. Per superare le prove muscolari giocate a suon di bombe e di colpi di mortaio è necessario che un’entità terza, equidistante, dotata di una potenza di fuoco superiore alle singole parti in lotta prenda possesso del campo di battaglia e tenga separati e tranquilli i duellanti. Le forze armate italiane sono specializzate in tale ruolo, visto che la loro presenza è richiesta in operazioni multinazionali di peacekeeping in quasi tutti i teatri di guerra ancora attivi al mondo. Perché non mettere in pratica, appena fuori casa nostra, tanta professionalità e competenza? C’è un destino che lega l’Italia alla Libia che nessun intrigo internazionale potrà facilmente recidere. E c’è una storia d’influenza italiana sulla “quarta sponda” che non può essere cancellata con un tratto penna. Per questo la Libia è affar nostro. E nessuno, soprattutto chi abita dall’altra parte dei nostri confini nord-occidentali, dovrebbe sperare di metterci alla porta dandoci il benservito.

Aggiornato il 12 aprile 2019 alle ore 09:41