L’autolesionismo dei somari

Così come sottolineato su La7 dall’ottima Veronica De Romanis, il Fondo monetario internazionale ha recentemente indicato nell’Italia l’unico Paese nel novero di quelli avanzati in cui risulta in forte calo la domanda interna. Ciò, al netto del rallentamento della congiuntura mondiale, non fa che confermare la natura sostanzialmente autoindotta della recessione in atto. Recessione autoindotta la quale, per la cronaca, era già stata teorizzata circa un mese fa, nel corso di un convegno tenutosi a Roma, da Ignazio Angeloni, membro del Consiglio di vigilanza della Banca centrale europea.

D’altro canto, senza mancare di rispetto a codesti prestigiosi osservatori, si tratta di una valutazione equivalente alla più classica scoperta dell’acqua calda. Nel marasma di una maggioranza di Governo a dir poco confusionaria nella quale, fin nelle sue più lontane propaggini, sembra da tempo in atto una sorta di pesca a strascico delle peggiori sciocchezze programmatiche da sventolare all’indirizzo di un elettorato attonito, chi se la sentirebbe di essere prodigo nei consumi e/o negli investimenti? In particolare, chi metterebbe denari in un sistema dominato da una politica degli annunci, magari acquistando titoli di Stato o obbligazioni di aziende di mercato, in cui si dice tutto e il contrario di tutto, in cui si rispolverano le ricette più strampalate dal ricco armamentario della politica da osteria? Un guazzabuglio di speranze con cui morire assolutamente disperati, composto di aumenti incontrollati della spesa corrente e di contemporanea riduzione prodigiosa delle aliquote fiscali. Manovre puramente elettoralistiche, con relativa distribuzione a pioggia di pensioni e sussidi, fatte passare per misure espansive, quando di espansivo c’è solo un atteso ritorno in termini di voti. Manovre per le quali prima o poi, ed è questo a mio avviso il fattore più rilevante nel creare incertezza, qualcuno dovrà sostenerne in pieno il costo.

Ed a fronte di investimenti pubblici fermi al palo, visto che tutto viene sacrificato in nome della citata espansione dei consensi, si continua nella linea degli annunci e delle proposte di salvezza collettiva - che per la cronaca non costano nulla ma aumentano comunque l’incertezza - da gettare in pasto ad un popolo sempre più frastornato.

L’ultima in ordine di tempo la dobbiamo a quell’ennesimo genio incompreso dell’economia che risponde al nome di Pasquale Tridico, attuale presidente dell’Inps in quota Movimento 5 Stelle. Il nostro luminare avrebbe scovato nel pozzo senza fondo delle idee strampalate quella, abbastanza nota alcuni lustri addietro nell’area della sinistra radicale, di ridurre l’orario di lavoro per aumentare l’occupazione, mantenendo però gli stessi livelli salariali. Una nuova pietra filosofale così scintillante da far rivoltare nella tomba il famoso Paracelso, con cui trasformare la nostra endemica bassa produttività in una gioiosa macchina economica, tale da consentire di lavorare meno ore in cambio di più impieghi lavorativi con gli stessi stipendi. Ma già che c’era, visto che nel magico regno degli asini volanti tutto è possibile, il fresco sostituto di Tito Boeri poteva spingersi ancora oltre, immaginando una decrescita felice, per l’altro già abbondantemente in atto, nella quale gli stipendi aumentassero a prescindere dalla citata produttività: il mito storico della nostra sinistra sindacale del salario quale variabile indipendente. Non si dovrebbe badare a spese quando è in gioco la felicità di un popolo ancora molto propenso a credere alle favole. Vediamo fino a quando.

Aggiornato il 12 aprile 2019 alle ore 13:00