Il lessico dei bugiardi

Bugiardi ed imbroglioni. Ce ne sono tanti. Ce ne sono ovunque; ma in questo Governo, in questa maggioranza parlamentare ce ne sono più che altrove. Hanno il frasario stereotipato che non mi stanco di definire da “Amici del Bar dello Sport”. Veramente dovrei dire “Nemici del Bar…” perché le cronache politiche sono piene del loro reciproco azzannarsi quotidiano per ogni questione che, in un modo o in un altro, venga a tenere il campo.

Proprio come gli amici del bar dello sport, tutti “commissari tecnici della Nazionale” in grado di vincere tutte le Coppe del Mondo, fanno grande sfoggio di termini inglesi. Che poi sono anglo-romaneschi o anglo-napoletani, meneghini, etc. etc..

Dio ci guardi da una campagna di ritorno obbligatoria alla tradizione italiana dei termini inglesi quale quella del povero Starace che per qualche anno ottenne che si gridasse “rete” invece di “goal!!” negli stadi ed altre “vittorie” in supposta “difesa” della lingua di Dante Alighieri (che non giocava né sapeva si giocasse a pallone e non credo si sarebbe molto gloriato del fatto che non si dicesse più “goal” (“golle!” a Roma). Il guaio è che di un dilagare di termini inglesi sono strapieni i dibattiti politici.

Dibattiti sull’economia, della quale e dei quali dibattiti i telespettatori ben poco capiscono anche a prescindere dall’uso dei termini italiani, inglesi o di altre lingue. Ma quelli del “Bar dello Sport” che di economia non capiscono un tubo, assai peggio di me, i termini inglesi, o che almeno tali sembrano, li usano disinvoltamente, imprimendo loro le modifiche del caso per “armonizzarli” al gergo romanesco, napoletano, milanese. Proprio come per il lessico delle partite di calcio.

Dico questo ma, poi, quasi me ne pento. Se, contro pur ogni probabilità, mi sentisse Matteo Salvini, che, avendo dimenticato di essere, come qualche anno fa, “padano” e come tale nemico acerrimo dell’Italia anche nel “tifo” sportivo, sarebbe capace di imporci una multa salata a chi usa termini stranieri. Per assestare, con i ricavati, il bilancio dello Stato. Ma il vero guaio è che l’italianizzazione della sostanza dei termini strani di cui sono fatte le diatribe sull’economia populista con effettivo mutamento di significati e di portata dei termini. Che così, più di italianizzazione (o napoletanizzazione, milanesizzazione, etc.) diventino “all’italiana” con notevole cambiamento di significato. E presa per i fondelli.

Prendete il “Reddito di cittadinanza”. Belle parole, che ricordano la spartizione che i cittadini romani facevano delle prede belliche. Si dice ancora (ma già se ne parla poco e le richieste superano di non molto la metà del previsto), si dice ancora “di cittadinanza” ma è di “residenza” e sarà pagato anche ai cosiddetti migranti. O migrati.

Ora anche la “flax tax” pare sarà varata in una versione all’italiana: “flax” sì, ma “progressiva”. Che mi pare sia il contrario del significato originale. Che dovremo aspettare per avere un ritorno all’italiano e non “all’italiana” dei termini stranieri? Forse la catastrofe, la bancarotta. Ce le dovranno dire, comunque, in italiano. Bello, vero?

Aggiornato il 17 aprile 2019 alle ore 12:38