Conte e il rimpasto post-elettorale

Armando Siri da una parte, Virginia Raggi dall’altra. La campagna elettorale del Movimento Cinque Stelle e della Lega è ormai delineata. Luigi Di Maio incalzerà fino al limite della rottura Matteo Salvini sollevando la questione morale contro il sottosegretario leghista nella convinzione di poter recuperare i consensi perduti del proprio elettorato sventolando la bandiera identitaria del giustizialismo. E lo stesso farà Salvini riadattando sulla Raggi la vecchia formula identitaria leghista del “Roma ladrona” nella ragionevole certezza di poter allargare i propri consensi mettendo in difficoltà Di Maio colpendolo nel fianco debole rappresentato dalla gestione pessima della Capitale.

Tutto normale e tutto scontato se non fosse che lo scontro elettorale non è tra partiti opposti ed inconciliabili, ma tra due forze che hanno stipulato un patto di governo e proclamano ai quattro venti di voler governare insieme per i quattro anni mancanti della legislatura in corso.

L’anomalia è stridente. Anche perché chi dovrebbe rappresentare la cassa di compensazione e di equilibrio di questa rissosa coalizione sembra aver rinunciato a questa sua funzione per dedicarsi alla politica estera e studiare da statista internazionale. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, infatti, preferisce scavalcare il suo ministro degli Esteri nelle vicende libiche, trattare direttamente con Emmanuel Macron e Angela Merkel in quelle europee e scambiare fattive telefonate su immigrazione, tasse e quant’altro con Donald Trump piuttosto che mediare tra Di Maio e Salvini sulla necessità di mantenere bassi i toni della campagna elettorale per non arrivare al voto del 26 maggio con il governo affondato.

Si può dare colpa a Conte per questa sua fuga dal ruolo di mediatore? In realtà non si può. Per la semplice ragione che il Presidente del Consiglio non è un terzo distinto e distante rispetto alle due parti in causa. È espressione diretta del Movimento Cinque Stelle che lo ha scelto ed imposto all’alleato leghista forte del suo 32 per cento conquistato alle elezioni politiche. Ed in quanto uomo di parte non può in alcun modo svolgere il ruolo di giudice imparziale al servizio del bene superiore del Paese.

Conte, in sostanza, è il frutto del rapporto di forza nato dalle elezioni politiche tra M5S e Lega, rapporto che vede il Movimento 5 Stelle più forte di quasi il doppio dei leghisti.

Ma che succederà se le elezioni europee dovessero ribaltare questo rapporto di forza? Come potrà un eventuale rimpasto non riguardare in primo luogo Conte e sfociare nella formazione di un nuovo e diverso governo?

Aggiornato il 24 aprile 2019 alle ore 11:08