La Lega nel solito mirino (non a caso)

Secondo non pochi osservatori - mettiamo persino un Ferrara (Giuliano) che ha sulla coscienza l’invenzione, peraltro azzeccata, del soprannome “Truce” per Matteo Salvini - c’era una forte, fortissima candidatura alla carica di Giuseppe Conte per occupare la sua poltrona a Palazzo Chigi.

Una candidatura che si è andata man mano rafforzando e crescendo in questo Governo con un collega a fianco come Luigi Di Maio, e il Salvini (è di lui che parliamo) poteva vantare questa primazia non solo o non tanto per l’oggettiva inesperienza pentastellata, ma per la sua non meno oggettiva capacità di governo, con attenzione e dedizione particolarmente espressive nel fluire pressoché inarrestabile sia delle dichiarazioni, che specialmente delle promesse.

Va pur aggiunto che in tale specializzazione, la gara col collega e il suo Movimento 5 Stelle, è stata ed è particolarmente intensa. In effetti, come hanno testimoniato i sondaggi, la corsa salviniana ha goduto di un certo vantaggio proponendosi come probabile vincitrice al traguardo delle urne prefigurando un meritato accesso alla Presidenza del Consiglio di Salvini stesso.

In realtà, il Governo di Lega e M5S, a cominciare dal Premier Conte, non poteva e non può omettere la concorrenza di un candidato terzo, di un protagonista non meno decisivo, di un movimento extraparlamentare: il partito che non si vede e che chiamiamo il partito delle astensioni. Questo movimento, con una sua più forte presenza nel Meridione, sembra ora in crescita anche al Nord, proprio in quella parte del Paese che ha dato non solo la nascita della Lega bossiana, ma ne ha visto una notevole crescita, spesso a spese dell’alleata Forza Italia. Alleata e partecipe in non pochi Comuni e Regioni, ma non nell’Esecutivo del quale il giudizio meno cattivo potrebbe riassumersi nell’antica definizione: senza infamia e senza lode.

A ben vedere, si vanno stagliando immanenza e azione di un partito al quale per comodità (ma non solo) si attribuisce la qualifica della non presenza che, al contrario, è testimoniata in piena attività dai mass media per le iniziative provenienti dal suo Palazzo. Quello della Giustizia. Nessuna critica pregiudiziale e nessuna invasione di campo, tanto meno di Palazzo, ma una considerazione per dir così storica va pure avanzata rispetto alle conseguenze non solo giudiziarie, umane e personali, ma soprattutto politiche che toccano e toccheranno a chi il volgo chiama brutalmente: entrato nel suo mirino.

Una lettura di quanto sta accadendo e accadrà non può tuttavia esimersi da alcune notazioni che solo apparentemente si considerano a latere ma sono affatto utili a valutare il complesso delle cose sullo sfondo, tra l’altro, dello spread oltre quota 290 che fa dell’Italia un caso di studio per i teorici mondiali della ristrutturazione del debito. Si è ricordato nei giorni scorsi, in modo particolare dal nostro giornale, la vicenda di un Armando Siri indagato e dopo poche ore dimesso da sottosegretario di Stato con poche o punto resistenze salviniane, in ossequio a una tradizione a cui il mitico bossismo non fu estraneo ai tempi del “manipulitismo” di lotta e di governo che annientò i partiti della Prima Repubblica e l’avvento della Seconda e dei suoi profondi cambi, a cominciare da quelli tecnico-politici-elettorali fino al suo tramonto “berlusconiano” ma pur sempre ricco di ottimi propositi, anche per i nuovi arrivati in nome e per conto del rinnovamento in merito alle riforme da fare. Fra cui, se ben ricordiamo, non pochi cenni dello stesso leader della Lega a proposito della giustizia e del suo funzionamento. Beninteso, sempre in nome del mitico nuovo che avanza, e tanto in quanto l’alleanza fra due forze, che non pochi definiscono populiste e giustizialiste, dovrebbe trasformare la parola riforma nella sua realizzazione, anche in previsione di un vicino giudizio, sia pure europeo ma pur sempre indicativo vuoi per la continuità dell’esperienza governativa in corso, vuoi per il cosiddetto cambio della guardia a Palazzo Chigi, vuoi in caso di un richiamo anticipato alle urne.

Sempre in nome e per conto del nuovo. Che avanza?

Aggiornato il 17 maggio 2019 alle ore 10:22