Per una destra vincente occorre “Marine”

Il mondo piccolo della politica italiana si prepara al rush finale per le Europee. Nel fine settimana, tra i leader che hanno tenuto comizi si segnala la buona performance di Giorgia Meloni, che ieri a Napoli ha chiuso in un solo colpo la campagna elettorale del suo partito e l’alleanza con Forza Italia. Ma a fare la differenza di qualità è stata Marine Le Pen a Milano, dal palco della manifestazione promossa dalla Lega. Avrebbe dovuto essere il giorno dell’incoronazione di Matteo Salvini a leader del raggruppamento delle destre sovraniste in Europa, e in parte lo è stato. Ma dove c’è un re deve esserci una regina. E la regina che ieri l’altro ha indicato la strada alla destra sovranista europea è stata lei, Marine.

C’è stato ethos e c’è stato pathos nel suo saluto alla piazza sovranista alla quale ha fatto dono del primo verso della Marsigliese, l’inno di cui i francesi sono gelosissimi, lievemente modificato per adattarlo alle mutate circostanze transnazionali. “Andiamo figli delle patrie, la gloria è arrivata”, invece che “andiamo figli della patria”. Quale incipit più efficace per restituire alla platea acclamante il senso di profondità storica e ideale dell’evento politico collocato oltre la barriera del potere mistificante delle parole. Quasi uno sfidare la legge di gravità sostenere che dei fieri patrioti, impegnati a difendere ciascuno il proprio interesse nazionale, potessero fare sintesi convergendo su una piattaforma programmatica unitaria dalla quale ripensare l’architettura istituzionale dell’Unione europea.

Marine Le Pen, nel momento in cui evoca Giovanna d’Arco, archetipo della funzione provvidenziale della salvazione del popolo, sfida i cosiddetti “europeisti” sul terreno argilloso delle matrici culturali e ideali dalle quali ha preso vita il progetto della casa comune europea. Di là dalla retorica argomentativa, “Marine” fa giustizia dei vieti luoghi comuni che per decenni hanno attribuito l’idea della costruzione unitaria dell’Europa ad una intuizione di parte, neanche l’unica del periodo, che spinse, nel pieno del Secondo conflitto mondiale, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni a scrivere l’arcinoto, seppure non altrettanto letto dai suoi sedicenti propugnatori, “Manifesto di Ventotene”.

Dalla piazza meneghina “Blu Marine” scandisce la corretta genealogia dell’idea d’Europa: “La nostra Europa non è quella nata sessanta anni fa, ma è figlia di Atene e Roma, è figlia di contadini e marinai, di chi ha costruito il Duomo e Notre Dame, di Leonardo e Giovanna d’Arco. Non accetteremo mai che ci venga tolto questo patrimonio materiale e immateriale”. Che mirabile audacia, citare i costruttori di cattedrali a tema di un medioevo di coesione europea, tutt’altro che buio. Chapeau! Una figlia di Francia che mette in riga duemila e passa anni di storia, legandoli ad un unico filo conduttore che dall’alba di tempi mitici plana sull’attualità. Un filo grazie al quale tutto si tiene: dalla conquista della Gallia ad opera di Gaio Giulio Cesare, alla notte di Natale dell’800 quando Carlo Magno fu incoronato dal papa Leone III Re dei franchi e dei romani, alla Guerra dei Trent’anni, al déjà vu di Napoleone, a Waterloo, alle Ardenne e Vittorio Veneto, alle armate del Reich in giro per il continente a seminare terrore e morte, orrendo epilogo delle stagioni insanguinate dell’Ottocento e del primo Novecento. Illuminismo e Romanticismo, Voltaire e Nietzsche, Mozart e Wagner. Rivoluzione e Restaurazione. La gelida manina di Mimì e la cavalcata delle Valchirie. Montecchi e Capuleti. Kultur e Zivilisation, per dirla con Thomas Mann.

Marine Le Pen ci ha ricordato cosa siamo stati: Eros e Thanatos, popoli in guerra che, pur combattendosi, hanno edificato una comune civiltà. Per la leader del Rassemblement National ciò che ha preso forma in Piazza Duomo reca lo stigma di una rivoluzione pacifica e democratica destinata a stimolare il risveglio dei popoli europei. Per quanto si possa avere simpatia per Matteo Salvini è occorsa la classe della “première dame” per liberare l’immagine del sodale italiano da quella incrostazione di utilitarismo bottegaio, molto pragmatico ma deficitario di un’idonea profondità visuale sugli orizzonti della Storia, caratteristico del leghismo padano. I sovranisti non avranno la maggioranza il prossimo 26 maggio. Ma non è ciò che conta. A ordinare i processi di trasformazione in un’area continentale vasta non sono i successi elettorali effimeri ma la conquista graduale di posizioni di comando negli assetti istituzionali comunitari, che determina una necessaria rotazione delle élite con l’immissione di una nuova classe dirigente formata agli ideali del sovranismo all’interno dei gangli della macchina amministrativa-gestionale europea.

Ciò che conta è che la Storia si sia rimessa in cammino. La società europea non ha ancora metabolizzato l’idea che sia desiderabile un’altra Europa, di popolo, di ponti ma anche di mura, orgogliosa della sua identità, gelosa della propria cultura, nemica dell’ideologia multiculturalista, allertata sulla crisi demografica, ancorata alla Tradizione, attenta alla bellezza delle sue produzioni autoctone, pronta a smantellare “l’esercito di riserva del capitale” fatto dai nuovi schiavi importati con l’immigrazione incontrollata, vigile contro i pericoli indotti dalla mondializzazione dell’economia e della finanza. Quando finirà l’oscena pantomima dei vetero-comunisti e dei progressisti sui cascami circolanti di un redivivo spettro del fascismo, si comprenderà la verità: una coscienza europea si avrà quando l’Unione da comitato d’affari si evolverà in comunità di destino. “Viviamo un momento storico e voi potrete dire ai nipoti ‘io c’ero’. Un momento che aspettavamo da tanto tempo e che finalmente si realizza sotto il cielo d’Italia. Il momento in cui uniti daremo a tutta Europa il segnale della resistenza, della speranza e della riconquista”, queste le sue parole. Marine Le Pen sa come si conquista l’amore di un popolo: chiamandolo a sentirsi parte di un insieme più grande e alto; convincendo ciascuno dei presenti a Milano che la Storia in persona lo abbia investito di una grande missione, raccontare alle future generazioni di italiani e di europei: quel giorno, io c’ero. Come sulle colline di Austerlitz o come sulle perlate spiagge di Normandia. Incontenibile, tetragona, seducente Marine.

Aggiornato il 20 maggio 2019 alle ore 11:06