Paese, Governo, elezioni e sbarchi in diretta

Le domande che praticamente ogni giorno il nostro giornale si pone e pone riguardano soprattutto le cose. Fatte e da fare. Da chi? Dal Governo, innanzitutto. È sempre facile, troppo facile, prendere di petto (o in giro che è peggio) un Esecutivo che non fa. O ha fatto poco. Ma è comunque giusto passare in una rassegna, sia pure immediata, progetti, programmi, realizzazioni specialmente alla luce di una compagine che si è annunciata come nuova (in realtà lo dicono tutte, prima) e come rinnovatrice in nome e per conto di quel leggendario modo nuovo di governare che da anni lontani viene, ad un tempo, proposto ed esaltato. Come di diceva (e si dice), è il nuovo che avanza.

Sullo sfondo di un paesaggio e passaggio elettorale europeo, il Governo Conte in carica da un anno non poteva e non può fare i cosiddetti miracoli e non dovrebbe essere giudicato, come si dice, un nullafacente. O facente male. Semmai il fare o il fatto potrebbero rientrare nella categoria del tempo, come s’è accennato, ma anche in quella della quantità e della qualità in un quadro nazionale ed europeo e, ovviamente, globale.

In questo senso, uno sguardo al vicepresidente Matteo Salvini, leader della Lega, è tuttavia obbligatorio, non tanto o non soltanto per il suo ruolo per dir così portante giacché la Lega non è affatto inesperta di esecutivi, nazionali, regionali e locali rispetto ai più digiuni, per ora, pentastellati, quanto soprattutto alla scelta essenziale che lo contraddistingue e che, come sappiamo, attiene al problema dell’immigrazione; insomma, degli sbarchi. Molto meno che alla stessa entità del confronto nelle urne, riferito alle regioni. Non vi è dubbio che l’impegno salviniano non è e non è stato né ordinario né secondario se teniamo conto della fuga dall’Africa che non pare né fermarsi né rallentare rispetto di certo all’Italia ma, subito dopo, ad un’Europa che agli occhi di chi la vuole raggiungere rappresenta il cosiddetto non plus ultra.

In questo quadro, il compito non soltanto di Salvini ma dell’intero Governo Conte, è quanto mai impegnativo sia perché gli sbarchi, sebbene più controllati di prima, non cesseranno, sia perché una riflessione e un’attenzione alle loro motivazioni più vere non possono non guardarne in profondità le ragioni, tante e grandi che, per comodità di ragionamento, hanno a che fare con il sottosviluppo di un intero Continente.

Il Governo Conte, lo ripete il suo presidente, fa quello che può e anche quello che deve, ma non vi è alcun dubbio che la sua stessa struttura politica, la sua composizione e dunque la sua gestione essenzialmente duale, non poteva, non può e non potrà obbedire all’antico ordine togliattiano dell’uniti e compatti, che non ebbe, per nostra fortuna, successo (elettorale) nel dopoguerra. E neppure dopo.

E nemmeno nel e col mitico nuovo che avanza, a cominciare dallo stesso che ora ci governa e che ha bisogno di un consenso dalle urne del 26 maggio e con una campagna elettorale nella quale non possono non riemergere le differenze e le distanze, a cominciare da quelle cosiddette ideologiche, fermo restando che, come si accennava, delle questioni squisitamente regionali a cominciare da quella che chiameremmo arcaica di un Nord sviluppato e di un Sud non in grande fulgore, non se n’è praticamente discusso anche nei suoi riferimenti in loco, a parte, come vediamo, gli sbarchi e loro conseguenze. A cominciare da quelle mediatiche, si capisce.

A questo proposito, due episodi salviniani, sebbene distinti e distanti, ci incuriosiscono offrendo una sorta di spaccato delle piccola Italia di oggi e di sempre. Chi avrebbe immaginato un Salvini in piazza che mostra un rosario con un Silvio Berlusconi che lo rimprovera, bonariamente ma fermamente in nome del sacro rispetto che si deve ai simboli religiosi ribadendo, insieme ad un Cardinale, che il luogo dei santi del rosario è in Chiesa e non in piazza?

E che dire, sempre domenica scorsa, dello stesso Salvini che apprende dello sbarco della cinquantina di immigrati ordinato dalla magistratura senza nessun preavviso? Salvo che dalla tivù, intendiamoci. E soprattutto in diretta.

Aggiornato il 21 maggio 2019 alle ore 10:21