Luigi Di Maio, il buio oltre la siepe

giovedì 30 maggio 2019


Luigi Di Maio, assediato dai dissidenti Cinque Stelle che lo incolpano della tremenda sconfitta elettorale di domenica, rompe l’accerchiamento con una mossa astuta. Per evitare di stare, da solo, sul banco degli accusati in un processo sommario messo in piedi dai suoi oppositori interni, più o meno occulti, il capo dei grillini ha optato per una sorta di ordalia sul suo operato politico, chiamando gli iscritti alla piattaforma Rousseau ad esprimersi sul suo futuro di capo del Movimento che coincide con la tenuta dell’attuale Governo giallo-blu.

La decisione ha senso: se è stato il popolo degli iscritti a metterlo in sella, è giusto che sia la stessa base, nel caso, a disarcionarlo. Ma i nemici interni masticano amaro perché non avrebbero voluto il plebiscito sulla persona del leader. Comunque, dopo le ore 20 di questa sera si conoscerà il responso al quesito: “Confermi Luigi Di Maio come capo politico del MoVimento 5 Stelle?”. Che tradotto vuol dire: mi volete o mi cacciate? Domanda insidiosa che nasconde un tranello per i congiurati i quali, senza sollevare scomodi polveroni, avrebbero voluto risolvere la pratica-Di Maio a tavolino.

Già, perché riconfermare la fiducia al capo politico sottende la decisione di non attribuirla ad altri che in queste ore si sono candidati a salvatori della patria pentastellata. A cominciare da Alessandro Di Battista che periodicamente torna a farsi vivo tra i grillini elargendo bizzarre lezioni di tattica politica e al quale il gemello dioscuro ha riservato un sonoro ceffone: “A differenza di alcuni, ma assieme a tanti anche di voi, sono sei anni che non mi fermo e credo di aver onorato sempre i miei doveri”. Se Luigi Di Maio questa sera la sfangasse la possibilità che si arrivi a una scissione del Movimento sarà più concreta. Il che non è affatto un male. Anzi, una rottura interna al Cinque Stelle sarebbe salutare per il futuro del Paese. E per gli interessi della destra. Fin quando esisterà una forza monolitica, totalmente fuori dagli schemi di qualsiasi tradizione storica e ideale riconducibile alle grandi famiglie politiche europee, in grado di raccogliere consensi trasversali sull’onda di fattori esclusivamente emozionali, nessuna maggioranza parlamentare che si andrà a comporre potrà ritenersi al riparo dal vulnus della perenne precarietà.

Oggi i Cinque Stelle stanno al Governo con la Lega, ma potrebbero tranquillamente spartirsi il potere con il Partito democratico sulla scorta di una piattaforma programmatica condivisa che dica l’opposto del Contratto di Governo stipulato in precedenza con la Lega. Se accadesse, torneremmo indietro rispetto al buon lavoro fatto in alcuni campi quali, ad esempio, la sicurezza e il contrasto duro all’immigrazione clandestina. È questo ciò che i fan del centrodestra desiderano? Elezioni politiche come sliding doors, azionate dalla volontà grillina di stare con gli uni o con gli altri in base alla convenienza del momento? Sono molti, in questi giorni, soprattutto a destra, a sperare in un rapido ritorno alle urne. Non è un sentimento peccaminoso, tuttavia si dovrebbe avere maggiore senso della realtà. Andare di gran carriera a votare senza essersi prima assicurati il pieno completamento del processo d’implosione dei Cinque Stelle potrebbe rivelarsi un rimedio peggiore del male.

Fa specie leggere commenti di opinionisti vicini a Forza Italia che manifestano un disarmante semplicismo politico. Essi scrivono: la somma dei voti di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia conferisce vittoria certa a una nuova coalizione di centrodestra. Ma da quando in politica 2+2 ha dato 4? Le condizioni di un successo elettorale sono puntualmente circostanziali. Non è detto che cambiando anche uno solo degli ingredienti della ricetta si ottenga la pietanza desiderata. Non è scritto da nessuna parte che la Lega possa replicare il risultato straordinario di domenica se si presentasse, domani, agli elettori con un quadro strategico o di alleanze modificato rispetto a quello odierno.

Inoltre, non bisogna sottovalutare la possibilità che, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza in capo a una coalizione di centrodestra, inevitabilmente si spianerebbe la strada a una combinazione post-elettorale tra Cinque Stelle e sinistra per una soluzione alternativa di governo in chiave progressista. Per evitare di consegnare il Paese agli avversari della destra non bisogna intralciare la fase di collasso in atto nel Movimento Cinque Stelle. L’auspicio è che Di Maio vinca il braccio di ferro con i suoi oppositori interni e, considerando come alcuni di loro si siano sbilanciati con dichiarazioni pubbliche lesive dell’immagine del capo del Movimento, del tipo: “se vuoi fare Superman devi esserlo”, li espella dal partito.

È purtuttavia vero che tale soluzione recherebbe un problema alla coalizione giallo-blu: la perdita della maggioranza assoluta parlamentare, in particolare al Senato dove i numeri sono già risicati. Se ciò accadesse, gioco forza, l’alleanza si vedrebbe costretta a ridefinire il suo perimetro chiamando al tavolo negoziale il partito di Giorgia Meloni. Si tratterebbe di una soluzione di transizione, alternativa alla riproposizione meccanicistica, a livello nazionale, della coalizione di centrodestra. Ma non sarebbe un’idea peregrina. Un periodo di decantazione durante il quale venga coinvolto nell’azione di governo, insieme alle due espressioni sovraniste della destra, il segmento dei Cinque Stelle d’orientamento conservatore, facente capo a Luigi Di Maio, risulterebbe funzionale anche al processo di riposizionamento strategico delle forze liberali e moderate. Tali organizzazioni partitiche, oggi in crisi d’identità di ruolo, avrebbero il giusto tempo per rimettersi in discussione, per aggiornare le proprie offerte programmatiche e, soprattutto, per chiarirsi le idee in ordine a quali istanze rappresentare, con quale blocco sociale rapportarsi e su quale futuro di società puntare e con quali alleati, se di destra o di sinistra, concorrere a costruirlo.


di Cristofaro Sola