Conte chiede la fiducia alle...telecamere

Il premier Giuseppe Conte l’ha presa alla larga. Si è rivolto alla nazione per chiedere ai due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio quali intenzioni avessero in ordine alla prosecuzione o meno dell’esperienza di governo. Succede anche questo al tempo del populismo e della democrazia disintermediata.

In passato il presidente del Consiglio si sarebbe rivolto alle Camere piuttosto che agli italiani via mezzo televisivo e diretta Facebook. Ma tant’è. L’importante è che sia stato lo stesso Conte ad aprire la crisi di Governo. Già, perché chiedere ai detentori della maggioranza parlamentare di dire chiaramente se intendano proseguire con l’alleanza varata un anno orsono è l’implicita ammissione che il Governo, rebus sic stantibus, ha esaurito la sua missione. Il professor Conte non è uno che ci sta a galleggiare pur di occupare la poltrona perciò si dichiara pronto a togliere il disturbo. Bizzarro modo di approcciare una verifica di Governo. Più che una conferenza stampa è sembrata una seduta psicoanalitica durante la quale il malato ricostruisce il suo vissuto. Ma come ben sanno gli psicanalisti, i pazienti spesso tendono ad autoassolversi nelle fasi di elaborazione del lutto. Conte non fa eccezione. Nello storytelling della sua discesa in politica c’è posto anche per una presa di distanze dal MoVimento. “Non sono mai stato dei Cinque Stelle”. E com’è finito a fare il premier designato dai grillini, gli chiede una giornalista incuriosita dall’improvvisa scoperta di terzietà del presidente del Consiglio rispetto al socio senior di Governo, fino allo scorso 26 maggio? “Mi hanno voluto per la mia indipendenza, ben sapendo che prima di accettare il contratto non avessi neanche votato per i Cinque Stelle”. Insomma, un arbitro nato. Ma questa fantastica risposta di Conte contiene un messaggio in codice: “Salvini, fidati di me che non sto con gli scappati di casa”. Sarà pure la verità affiorata dal subconscio del premier, ma non è bello e neppure elegante scaricare i grillini a questo modo, manco fossero un pacco di kleenex. Conte non ha voglia di smontare da cavallo e chiede garanzie per restare in sella. La prima è che si ristabilisca quel clima di fiducia e di collaborazione che ha funzionato alla perfezione nei primi dieci mesi dell’esperienza di governo. La seconda, più impegnativa, riguarda la leale collaborazione sulla quale impostare il lavoro futuro.

In soldoni, Conte chiede ai suoi dante causa, in particolare a Matteo Salvini, di evitare invasioni di campo e di lasciargli fare il mestiere di capo del Governo. Lo dice senza mezzi termini: se insieme al “suo” ministro dell’Economia si sta negoziando una delicatissima partita con i Commissari dell’Unione europea per evitare la procedura d’infrazione all’Italia sullo sforamento dei conti pubblici, non può il ministro dell’Interno piombare come un elefante nella cristalleria a disfare ciò che si è costruito. Conte fa l’offeso: il rispetto della grammatica istituzionale è questione morale ancorché politica e giuridica. Ma non è solo con Salvini che ce l’ha. Quel riferimento alla perniciosa logomachia che passa anche dai social e dalla gestione della rete, che sia una freccia scoccata all’indirizzo del gluteo di Davide Casaleggio? Ma continuare a governare per fare cosa? A tale riguardo lo scolaro Conte non si fa cogliere impreparato. Scodella a beneficio di telecamere un lungo elenco di cose da fare, di piani di valorizzazione da implementare in una pluralità di settori: dalla ricerca scientifica all’università, all’agricoltura, al turismo, all’economia circolare. Un programma che a realizzarlo per intero darebbe lavoro a una classe dirigente per i prossimi dieci lustri. E sugli insanabili elementi di divisione che separano i due alleati-contendenti, come ad esempio il destino del Tav Torino-Lione? Qui bisogna avere la pazienza di seguire il filo delle acrobazie mentali dell’avvocato Conte per scoprire che la soluzione c’è già. Dice il premier: è questione di metodo di lavoro, il Contratto di Governo prevedeva che si subordinasse la decisione ad una analisi costi-benefici dell’opera infrastrutturale. Tale verifica è stata fatta è ha dato esito negativo. La fase successiva prevede un’interlocuzione con la Francia e con l’Unione europea per verificare se possano essere modificati i presupposti che hanno dato risultato negativo all’analisi compiuta. Cioè a dire: se dalla trattativa si riesce a ottenere un impegno finanziario meno oneroso per l’Italia a fronte di qualche maggiore beneficio conseguibile, la Tav si fa. E punto.

Poi Conte si “obamizza”, sembra che stia per pronunciare il suo personale “Yes we can”, ma si ferma sull’orlo di un più sobrio “iniziative che impongono visione, coraggio, tempo, lungimiranza”. Ora, la domanda è: i suoi dante causa glielo concederanno questo tempo oppure sono già, bagagli in mano, in partenza per altri lidi? L’aut-aut posto dal premier somiglia al ruggito di un leone di cartapesta. Anche il tentativo di drammatizzazione cercato con la messa in mora dei capi leghista e grillino in pubblica piazza mediatica non ha sortito gli effetti sperati. Tanto i diretti interessati chiamati in causa quanto i telespettatori e i frequentatori della rete che hanno ascoltato il suo discorso non se la sono bevuta. Per essere credibile il professor Conte avrebbe dovuto mettere sul piatto qualcosa di molto più pesante della generica promessa di togliere il disturbo in caso di mancate risposte alle sue richieste. Avrebbe, ad esempio, dovuto dire di aver già rassegnato le dimissioni da premier nelle mani del Presidente della Repubblica per “parlamentizzare” la crisi. Allora sarebbe stata una vera sfida ai leghisti e ai grillini ad assumersi le proprie responsabilità davanti al Paese. Invece il classico “farò-vedrò-dirò” non incanta più nessuno. Se i due partner di maggioranza decideranno di proseguire l’avventura del Governo giallo-blu non sarà certo per il “penultimatum” di Conte. Sarà semplicemente perché, a conti fatti, non avranno ritenuto conveniente staccare la spina in una fase nella quale programmare un rapido passaggio per le urne è questione complicata e dove resta sempre in agguato lo spettro di un Governo tecnico. Chi si aspettava che Conte scompaginasse il quadro politico con un’imprevedibile, ma coraggiosa, mossa del cavallo, sarà rimasto deluso. Il premier sembra naufragato in un bicchier d’acqua. Con tutto il cavallo.

Aggiornato il 04 giugno 2019 alle ore 10:52