Tutti pazzi per i minibot?

martedì 11 giugno 2019


L’emissione di titoli di Stato di piccolo taglio per saldare gli arretrati della Pubblica amministrazione era passata come un dettaglio quasi inosservato del programma politico della Lega, e a un anno di distanza sembrava una provocazione entrata di straforo in un atto poco rilevante come una mozione parlamentare. Invece, il tema è improvvisamente e prepotentemente tornato di attualità. Il fatto è che i minibot nel più innocuo dei casi sono un modo per il governo di aggirare il problema del pagamento del debito, e nel peggiore un reale danno per gli italiani.

Facciamo finta, per un attimo, di credere davvero che l’obiettivo sia quello di accelerare i pagamenti della PA. Fingiamo pure di ignorare che, rispetto ai picchi di alcuni anni fa, i tempi di pagamento pubblici si sono molto accorciati, e lo stock di arretrati è conseguentemente sceso, passando da oltre 90 miliardi di euro nel 2012 a circa 50 nel 2018, con un ritardo medio nei pagamenti che nel 2017 veniva stimato, in media, in otto giorni. Ha senso, di fronte a dati tutto sommato incoraggianti, introdurre i minibot?

L’idea di pagare i creditori con titoli di Stato di piccolo taglio è, anzitutto, ridicola, perché presuppone che le transazioni siano saldate con titoli cartacei: così, in generale, non è, in quanto i pagamenti della Pubblica amministrazione avvengono obbligatoriamente attraverso mezzi elettronici per tutte le somme superiori a 1.000 euro. Secondariamente, non si capisce perché il titolo di Stato (che, come ha detto anche Mario Draghi, è una forma di debito finanziario) debba essere assegnato al creditore della PA, e non emesso secondo le consuete modalità per raccogliere sul mercato gli euro necessari a saldare i debiti commerciali.

Già, perché? A veder corto, si potrebbe pensare che i minibot servano al Governo ad auto-ridursi il debito (con buona pace di chi li riceve in credito). Il pagamento attraverso i minibot (che non hanno per costruzione né scadenza né tasso di interesse) equivale a una forma di riduzione del debito: infatti, i fornitori che accettassero questo strumento perderebbero gli interessi di mora che, invece, oggi gli sono riconosciuti.

A vedere un po’ più lungo, l’emissione di minibot è un primo passo verso l’adozione di una valuta parallela da utilizzare, all’occorrenza, per gestire l’uscita dall’euro. Come ha detto Draghi, o i minibot sono debito, oppure sono moneta, e in quest’ultimo caso sono illegali (e, aggiungiamo noi, pericolosi). Se fossero interpretati alla stregua di una valuta parallela, i minibot si svaluterebbero rapidamente, col risultato paradossale di strangolare le piccole imprese bisognose di liquidità a favore di quelle finanziariamente più solide che, invece, potrebbero acquistarli a sconto e utilizzarli poi a valore facciale per pagare le tasse.

A rendere le cose ancora più complicate è il fatto che, se siano debito o moneta, dipende solo in parte dal “disegno” consapevole del Governo: in buona misura deriva dall’uso che ne faranno coloro che ne entreranno in possesso. Nel dubbio, sarebbe meglio astenersi da queste pericolose stregonerie e concentrarsi sui problemi del Paese: spesa, tasse, regolamentazione e credibilità. I minibot non solo non ne risolverebbero nessuno, ma probabilmente li andrebbero a esacerbare tutti.


di Istituto Bruno Leoni