Se e perché prevale la voglia di elezioni anticipate

L’impressione, e non solo quella, è che il desiderio di andare di fronte al popolo per chiedergli un voto anticipato sembra aver colto, innanzitutto un Matteo Salvini onnipresente, anche dall’altra parte dell’Oceano.

Non sbaglia il nostro direttore ad accomunare i due vice (per modo di dire, chè si muovono impettiti come 2 premier) nella stessa volontà, anche se il sistema all’italiana di voto è rimasto farraginoso al di là e al di sopra (o al di sotto) delle sistematiche volontà riformatrici dei non pochi governi succedutisi in questo ventennio. E oltre.

Il punto da analizzare riguarda innanzitutto le ragioni e i motivi per i quali, a cominciare da Matteo Salvini, sarebbe oltremodo utile una virata della nave di Giuseppe Conte verso un’elezione politica ravvicinata, anche perché altre votazioni generali, come le Europee, si sono già tenute con risultati noti a tutti e con indicazioni che ogni partito-movimento utilizza a favore o contro un anticipato richiamo alle urne che, come si sa, conserva sempre e comunque incognite persino per i cosiddetti più “sondaggiati” positivamente.

Va pur detto che, a fronte di questi desideri più o meno esplicitati, non ne mancherebbero ragioni concrete, in primis la questione di quella minaccia di procedura d’infrazione che pende sul nostro capo da parte di una Unione europea verso la quale è indubbio che un anticipo elettorale avrebbe come insegna, soprattutto per la Lega salviniana (e non solo), un forte e chiaro “No all’Ue”. E il chiedersi se una simile manovra comporti delle assurdità o non, piuttosto, l’eco di un rischio calcolato, non è soltanto motivato da tutti i perché e i percome delle ragioni economico-finanziarie connesse all’enormità del nostro debito pubblico, ma si rispecchia nella realtà politica di una maggioranza di governo che, anche e soprattutto rispetto a questa situazione, mostra due volontà niente affatto omogenee: da parte di un Salvini che, non da oggi, punta sulla riduzione delle tasse e di un Di Maio che ha come vessillo l’assistenzialismo per primo che, come si diceva ai bei tempi, oggettivamente indica la strada maestra opposta a quella per dir così riduttiva.

Del resto, che questo Governo sia composto da due forze che su quasi tutti i temi, grandi e piccoli, della complessa realtà italiana – con sullo sfondo l’Unione europea e le sue competenze – nutrano idee spesso opposte, non è una novità pur costituendo la ragione precipua proprio delle diversità delle opzioni e delle decisioni di cui, peraltro, si fa quotidianamente, anche in visita negli Usa, un gran parlare. Il tutto nell’illusione che basti la forza mediatica degli annunci delle grandi, grandissime riforme da fare, per guadagnare consensi sui quali i più noti politologi di ieri e di oggi hanno sempre posto, ai governanti, l’obbligo di una cautela tanto più necessaria quanto più il voto è per sua natura incerto, cioè un rischio.

In effetti, la fino ad ora magra, magrissima realizzazione degli annunci di cui si è abusato, deriva dalle diversità storico-politiche dei due contendenti divenuti alleati di governo e trova anche nelle decisioni per dir così meno impegnative come quelle a proposito dei cosiddetti minibot di cui si fa un gran parlare, non foss’altro perché il ministro Giovanni Tria, competente della partita e responsabile diretto della eventuale decisione a proposito (nientepopodimeno) di una nuova moneta, ha detto un chiaro “non si può” a fronte di Salvini che, al contrario, ha insistito sulla possibilità della scelta. Fin troppo facile dedurre che da simili divaricazioni politiche, e non solo economiche, possano derivare conseguenze di anticipata chiamata alle urne.

Alla faccia delle riforme promesse, potrebbe commentare qualcuno, se non fosse che anche nel settore della giustizia, sacralizzato spesso e volentieri, stanno venendo al pettine i nodi fra cui quelle divisioni in correnti non da oggi, invero, presenti negli interna corporis iustitiae, e su cui i giudizi sono sempre stati non solo cauti ma silenziosi e inani, comprese le riforme annunciate dal ministro grillino competente, rimaste, come tutte le altre, allo stadio del preannuncio, a proposito di un settore che definire vitale non sembra esagerato. A cominciare dai suoi “usufruttuari”, volenti o nolenti.

Aggiornato il 21 giugno 2019 alle ore 10:15