La separazione delle carriere dei magistrati non è una ritorsione

I lettori dei giornali, quei pochi superstiti, si domanderanno come mai si parla e si scrive sempre di riforma della giustizia, di separazione delle carriere dei magistrati e dei criteri dell’obbligatorietà dell’azione penale, e poi, regolarmente, passa tutto in cavalleria. Almeno da trent’anni a questa parte. Oggi che i penalisti italiani si astengono dalle udienze per protestare contro lo Stato italiano per come osa da decenni tenere le proprie carceri sembra un buon giorno per riflettere sul perché di questo stallo. Ci sono due ragioni uguali e contrarie che spesso sembrano inscenare un balletto quando non un gioco delle parti. La prima è che i politici italiani si accorgono del problema giustizia, e di quello delle carceri, solo quando capita una disgrazia a qualcuno di loro.

A quel punto vanno in tivù, o sui social, e promettono grandi riforme (“epocali”) della giustizia che appaiono ovviamente come una reazione ritorsiva per il callo pestato da un’inchiesta, da un giudice, da un provvedimento che non aggrada loro. E la frittata è fatta.

La corporazione in toga, dominata dai pm, si chiude a riccio e la riforma, promessa o minacciata, non viene fatta. E il politico è costretto a ritirarsi in buon ordine con un brusio di pernacchie in sottofondo. La seconda ragione sta nell’imbarbarimento creato in Italia dalla mentalità vendicativa contro la classe dirigente generatasi da “Mani pulite” in poi. L’urlo “in galera” che prima apparteneva solo a Giorgio Bracardi, personaggio della banda di Renzo Arbore, è diventato uno slogan politico di tanti leader e di alcuni partiti, principalmente i Cinque stelle, parte della Lega, parte del Pd, buona parte di Fratelli d’Italia e altri ancora. Sempre con l’accortezza di urlare lo slogan quando riguarda gli avversari politici, riservando il garantismo a sé stessi e ai propri sodali di partito.

A dire che certe riforme, a iniziare dalla separazione delle carriere tra pm e giudicanti, sono comunque sacrosante, rimangono solo gli idealisti in buona fede come i militanti del Partito radicale transnazionale, peraltro inattaccabili sotto il profilo penale e giudiziario. Che però hanno il torto di essere ancora pochini per smuovere un simile macigno che necessiterebbe anche di riforme costituzionali. Così, da tre decenni rimane tutto uguale e le riforme di quel settore, e di quello delle carceri – per il quale oggi scioperano i penalisti di tutta Italia – sono rimandate di volta in volta. È la fotografia di un paese di Pulcinella, che, esattamente come avviene per le riforme che andrebbero fatte nel settore economico per ridurre debito e spesa pubblica, oltre che tasse e burocrazia – e non “perché ce lo chiede l’Europa – rimanda di esecutivo in esecutivo la patata bollente.

Ovviamente, chi gode in questo caos sono proprio coloro – magistrati della pubblica accusa auto politicizzatisi o burocrati della spesa pubblica – che avversano palesemente o in maniera sotterranea e subdola quelle riforme che spazzerebbero via il proprio potere e il proprio diritto di veto. Così l’Italia, in cui gli idioti chiedono la “certezza della pena” senza prima domandare la certezza dei diritti e dei doveri, rimane sempre uguale a sé stessa: feroce con i poveretti e inerme contro la prepotenza dei ducetti di turno. Un Paese in cui la Pubblica Amministrazione è inaffidabile e in cui si viene in vacanza, possibilmente a basso prezzo, ma da cui si scappa via il prima possibile. Quando Bettino Craxi, buonanima, sotto i colpi delle prime inchieste di fatto dirette esclusivamente a toglierlo di mezzo e a favorire il Pci-Pds di Occhetto, si lamentava non tanto per sé ma per quel che vedeva accadere intorno in tutto il Paese, dicendo “hanno creato un clima di odio”, non diceva una di quelle frasi di repertorio e di bassa propaganda cui ci hanno abituato i politici della Seconda Repubblica. Purtroppo per lui – e per noi – ci vedeva lungo, molto ma molto lungo.

Quel clima di odio e invidia sociale è diventato adesso il cosiddetto “core business” di alcuni partiti e persino di alcuni governi.

Aggiornato il 10 luglio 2019 alle ore 10:16