Csm, riforma e dintorni

martedì 16 luglio 2019


Leonardo Sciascia, oltre tre decenni or sono, formulò una richiesta al Parlamento italiano, proponendo che per un tempo determinato si astenesse dal varare leggi di riforma, pur continuando a percepire lo stipendio nelle persone dei singoli parlamentari. Lo scrittore infatti temeva non solo le leggi vigenti – già allora confuse, aggrovigliate, a volte inesplicabili – ma, ancor di più, le leggi di riforma che le avrebbero sostituite: in realtà, ancor più confondendole, aggrovigliandole, rendendole impossibili da decifrare. Naturalmente, il Parlamento continuò imperterrito a riformare tutto il riformabile ed anche il non riformabile.

Ebbene, oggi le cose non sono molto diverse, se il Governo mette mano a riformare per l’ennesima volta il Consiglio superiore della magistratura. E intende farlo sotto due direttrici complementari, ma entrambe assai discutibili. Per un verso, intende sorteggiare i componenti del Csm – sia pure da una rosa predeterminata – allo scopo di sottrarli all’egemonia delle correnti e delle lorio intestine lotte di potere. Il sorteggio è stato nell’antichità uno dei metodi tradizionali dell’agone democratico. Tuttavia, esso – icasticamente definito quale metodo di una “aleocrazia” (cioè democrazia dell’azzardo) – presta il fianco a due obiezioni insuperabili: esso infatti da un lato non tiene in alcun conto le qualità soggettive delle persone sorteggiate, la loro competenza, i loro limiti, le loro reali capacità; dall’altro lato, non spinge in alcun modo i sorteggiati a far del loro meglio per ottenere una eventuale riconferma, impossibile nel sorteggio. Infatti, il sorteggio è un metodo arcaico, buono per le società non ancora sviluppate, ove le fazioni e le contrapposizioni siano tanto violente da sfociare nella ingovernabilità.

Oggi, residua solo nella scelta dei componenti popolari delle giurie di Corte d’Assise, ma per una motivazione fondamentalmente diversa: qui il sorteggio serve solo a garantire che i giudici non possano esser scelti con criteri previamente politici, non ispirati a giustizia.

Per altro verso, il Governo vuole attribuire al Csm il compito di indicare alle Procure, periodicamente, ove rivolgere in via prioritaria l’azione penale, che tuttavia rimane obbligatoria. Un vero assurdo: attribuire ad un organo di amministrazione – quale il Csm – la scelta dei reati da perseguire, finendo con il subordinare alla prospettazione politica o parapolitica l’attività giurisdizionale.

Insomma, un vero pasticcio, per giunta anche incostituzionale. Se ne accorgerà il Governo?


di Vincenzo Vitale