Cul-de-sac

Le Camere, approvando la riduzione del numero dei parlamentari, hanno infilato la nazione in un cul-de-sac politico, senz’esserne consapevoli appieno.

A parte l’insultante motivo del risparmio di spesa sbandierato da par suo dal garrulo Luigi Di Maio (che conferma indirettamente il mio vecchio aforisma secondo cui “chi ha letto dei libri non lo può nascondere”), se sia un bene o un male il Parlamento “dimagrito” potrà essere verificato in futuro dal funzionamento e da risultati conformi alle attese. Noi prevediamo delusioni perché le aspettative dichiarate non sono tutte coerenti con gli esiti preventivati oppure sono addirittura negative in rapporto al genuino “governo rappresentativo”. Per esempio, l’idea che il Parlamento “snello” avrà la capacità di fare leggi presto e bene molto più d’adesso è sbagliata e pericolosa in sé, perché il Parlamento non è un’industria e la sua produttività consiste nella qualità delle leggi e dei controlli, non nella loro quantità; inoltre la sua virtù vera sta nel ponderare e frenare le proposte, non nel timbrarle e sfornarle obbedendo ad un taylorismo fuori posto.

Inoltre, il Parlamento è la massima espressione rappresentativa degli elettori e dunque della sovranità del popolo che, trattandosi di una democrazia parlamentare, sceglie deputati e senatori anche con il potere d’insediare il governo. Il Parlamento “dimagrito” assottiglia necessariamente pure il rapporto di rappresentanza, la rappresentatività politica, cioè il denominatore della frazione che ha per numeratore ciascun deputato e senatore. Occorrerà quasi il doppio di elettori per “fare” un parlamentare. Ciò significherà, tra l’altro, maggior tentazione di finanziamenti illeciti per campagne elettorali più dispendiose, nonché più lobbies in funzione, per quanto lecite.

I sostenitori di questa modifica costituzionale hanno obbedito all’idolum fori del taglio delle poltrone per risparmiare. In uno Stato che non sa o non vuole fare la vera spending review! Ma gli altri l’hanno votata con molte riserve mentali ed un esclusivo interesse personale. Infatti Augusto Minzolini, la volpe del Transatlantico, acutamente ha concluso che ormai “la legislatura è blindata” perché almeno un terzo, per giunta indistinto, dei parlamentari in carica rivedrà Montecitorio e Palazzo Madama con il cannocchiale. Perciò resterà incatenato al seggio per l’intera durata della legislatura in corso.

Gli avversari della riforma, divenutine acrobaticamente convinti sostenitori, dichiarano di aver ottenuto garanzie ferree circa altre indispensabili riforme, costituzionali e legislative, a corollario della prima. Riforme che, per essere istituzionalmente qualificanti quanto difficili da elaborare e politicamente divisive, tuttavia sono al momento neppure abbozzate, sicché il loro iter è prevedibile che non si concluderà nei tempi sperati: pensiamo alle norme costituzionali integrative, alla legge elettorale che sarà decisiva per le sorti del nuovo sistema, ai regolamenti parlamentari, ai controlli e bilanciamenti nelle nomine nei rami alti dello Stato. Intanto pendono due referendum possibili: sulla vigente legge elettorale e sulla stessa modifica costituzionale. Finché tali pericolose armi contro lo status quo non saranno neutralizzate, o perché non ammesse o perché respinte, permangono due altri elementi perturbatori, a tacere che la vittoria del no nell’eventuale referendum costituzionale equivarrebbe ad una bomba atomica sull’intero Parlamento. Il Presidente della Repubblica non potrebbe non considerarla alla stregua di una devastante sfiducia popolare sull’intera classe parlamentare e sciogliere subito la legislatura, che sarebbe così risultata “blindata” solo all’apparenza.

Insomma, sono tali e tante le variabili innescate dal ritocco numerico delle Camere che il sistema politico e parlamentare sembra finito in un cul-de-sac dal quale è difficile che uscirà senza scompiglio.

Aggiornato il 14 ottobre 2019 alle ore 10:48