Quando Fico parla come Rumor

È vero che il linguaggio è lo specchio dell’anima, anche di quella che dicono di non avere.

In politica il linguaggio si piega, spesso, a volte con giravolte a seconda della volontà dei suoi autori ma, come nella vita di tutti i giorni, la parola spiega, tradisce, illustra e illumina ancorché ne vorrebbe oscurare il significato.

Sicché, quando capita di ascoltare, specialmente in tivù, il pentastellato Roberto Fico, passato in un battibaleno dalla contestazione del Parlamento alla sua (della Camera dei deputati) presidenza, si viene colti come da un senso di straniamento e pure di stupore. È accaduto domenica scorsa, mentre sullo schermo si muovevano di qua e di là le folle della convention per il decennale grillino a Napoli.

Fico, intervistato in un colloquio con Lucia Annunziata, usava un eloquio tranquillo, un parlare moderato nella sua pacatezza e che si porgeva pacato alle domande dell’intervistatrice con parole serene e a loro modo moderatrici. Per dirla con una definizione cara alla politica d’antan, ma anche di oggi, quella di Fico era tipica dell’indimenticabile prosa dorotea, di quel parlare morbido con venature affabili di una ben precisa, a suo modo eterna, Democrazia Cristiana, coi i suoi echi tranquillizzanti nella dolcezza delle cadenze veneziane di un Mariano Rumor. Quantum mutatus ab illo!, usando la prosa ciceroniana, del resto sempre utile alla bisogna.

Un linguaggio che dichiarava innanzitutto un cambiamento, una sorta di ribaltamento rispetto alle usanze, le stesse con cui da un decennio il “vaffa” grillino introduceva gli insulti più duri, le contumelie più violente, i termini più sanguinosi contro politici, parlamentari, istituzioni, Europa, Merkel ecc. e partiti percettori di tangenti e diffusori di malessere e disonestà nel Paese. Things change, le cose cambiano. O per meglio dire, è il potere che ti cambia.

In effetti, quella prosa elegante del Presidente della Camera anticipava di qualche ora l’attesa performance di Beppe Grillo davanti ad una platea che, secondo non pochi osservatori presenti, si mostrava come in pace rispetto alle scorribande precedenti, anche se fra i suoi più alti responsabili, come gli eletti in Parlamento, si contavano dei vuoti non da poco se è vero come è vero che a decine, fra deputati e senatori, se ne sono andati dal Movimento.

Grillo, si sa, prima che politico è attore, più o meno comico. Ma a Napoli è prevalso il latore di un messaggio al suo popolo, di un invito diverso dal solito ordine urlato ma comunque pressante nella sua novità nell’avere innanzitutto lasciato a casa il leggendario apriscatole e abolito (per ora) l’inconfondibile vaffa, poi nell’avere dato la linea vera assicurando che non soltanto il Pil nei prossimi dieci sarà immateriale e “diventeremo i numeri uno” ma che lui ci crede e che non vuole che il suo popolo rimanga sempre fissato e immobile a dirsi è il Pd, il Pd ,il Pd… Parole abbastanza oscure per i neofiti, ma comunque improntate allo stesso ribaltamento del Fico di prima.

Fico può stare tranquillo. Non c’è più un Parlamento da aprire come una scatoletta di tonno. Adesso è lui il tonno. E Matteo Salvini, dicono quelli che lo conoscono bene, va ghiotto per quel pesce.

Aggiornato il 16 ottobre 2019 alle ore 13:56