Il mostro burocratico

L’Ufficio studi della Cgia, meritoria Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre, ha pubblicato una nota intitolata “La burocrazia legislativa produce una montagna di carte: oltre 30.600 pagine all’anno”. Ne risultano cifre agghiaccianti che il Parlamento e i partiti, se non fossero in altre faccende (persino puerili) affaccendati, dovrebbero mettere al primo punto dell’agenda politica; così come stampa e televisione, in prima pagina. Le 365 Gazzette Ufficiali del 2018 sono composte da ben 30.671 pagine, pesano 80 chilogrammi e, se stese una dopo l’altra, coprono 452 chilometri, pressoché la lunghezza dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria! Questo diligente e ammirevole Ufficio studi ha pure calcolato che a una persona normale, che impiegasse 5 minuti per leggere ciascuna pagina infarcita di leggi, decreti, regolamenti, ordinanze, delibere, comunicati, occorrerebbero 319 giorni lavorativi per scorrere il profluvio di fogli, cioè oltre un anno d’ininterrotto lavoro!

Inoltre, non senza larvata ironia, l’Ufficio studi ha precisato che il 12 aprile 2018 si è registrata “la punta massima di produttività normativa”, allorché il Supplemento ordinario n. 18 della Gazzetta Ufficiale ha pubblicato il primo gruppo di Isa (Indici Sintetici di Affidabilità fiscale) che sostituiscono gli studi di settore. “In buona sostanza – scrive l’Ufficio le imprese, i commercialisti, le associazioni di categoria, gli addetti ai lavori si sono trovati tra le mani un malloppo di 2.967 pagine che illustra i nuovi indicatori delle prime 69 attività economiche con le relative specificità territoriali”.

Tuttavia il giorno più infausto è stato il 4 gennaio di quest’anno. Il Supplemento ordinario n. 3 ha pubblicato il secondo decreto sugli Isa di altre 106 categorie economiche, ben più corposo del precedente: 4.334 pagine! Come tutti possono verificare dal devastante esempio, l’avversario ostile ed implacabile dell’imprenditore e dell’aspirante tale non è il potenziale concorrente ma il teorico protettore: lo Stato, ovvero, in senso ampio e generale, quegli uffici e impiegati pubblici ai quali la politica, mediante una legislazione più che improvvida e farraginosa, affida servizi, controlli, rilascio di nullaosta, licenze, concessioni, autorizzazioni, benestare, visti, permessi, attestati e simili.

Una ricerca di European House- Ambrosetti, pure citata dall’Ufficio studi, ha evidenziato il costo spaventoso sopportato dalle imprese per (cercare di) superare la corsa ad ostacoli tra le norme e le pratiche: 57 miliardi! Del resto, la giungla legislativa italiana è così intricata che le stime sulla stessa quantità delle leggi in vigore oscillano tra 90mila e 160mila, mentre in Francia sarebbero 7.000, in Germania 5.500, nel Regno Unito 3.000. Stando così le cose, sembra umoristica e paradossale la rituale “cerimonia del ventaglio” nella quale le Camere, ad inizio estate, magnificano la fecondità dell’attivismo parlamentare e si gloriano delle tante nuove leggi approvate nell’anno, obbedendo all’ideologia giuspositivista che devasta lo Stato di diritto.

La definizione di “burocrazia legislativa” (espressione felicemente inusuale, se non addirittura inedita nel suo doppio significato) con riguardo alla proliferazione incontrollata delle norme calza solo a metà o per metafora. A ben vedere la burocrazia oppressiva propriamente detta è bensì figlia legittima delle troppe regole giuridiche, essendone la legiferazione ipertrofica la madre naturale, però trascura il padre, che non è meno certo, cioè il cittadino elettore, il quale sollecita continuamente lo Stato ad intervenire, spesso a sproposito, mentre a loro volta la Pubblica amministrazione e la magistratura chiedono per conseguenza, anche legittimamente, interventi per precisare, chiarire, completare il contesto normativo e ordinamentale.

La burocrazia è fatta di una norma, un impiegato, un ufficio, uno stanziamento, ed è sempre invocata con le migliori intenzioni, salvo poi pentirsene quasi sempre a cose fatte perché ineluttabilmente essa obbedisce al proprio codice genetico, originatosi al riparo della concorrenza. Dunque pretendere una burocrazia senza gli specifici vizi burocratici lamentati equivale a voler sgrassare il sangue con il colesterolo. Inoltre, ancor più grave, a misura che il processo di burocratizzazione espande la sua influenza sulla società, i vizi burocratici (rectius: il suo intrinseco modo d’operare) non restano confinati all’attività imprenditoriale od economica in senso stretto, ma contagiano l’azione umana in generale. La straordinaria aporia dello statalismo, in particolare italiano, consiste nel fatto che tutti biasimano il burocratismo e considerano offensivo il termine “burocrazia”, eppure chiedono più burocrazia se sembra soddisfare un loro peculiare interesse ovvero nell’illusione che riuscirà a soddisfarlo. Tant’è che gl’Italiani, unici al mondo, sono stati capaci persino d’istituire un ministero per riformare i ministeri.

Aggiornato il 28 ottobre 2019 alle ore 10:53