Un Governo sommerso dall’acqua alta

Pur non schierandomi da tempo tra i tifosi di questo o quel partito, di questa o quella coalizione, considero praticamente conclusa l’esperienza politica, se così vogliamo definirla, del Governo giallo-rosso.

Una esperienza la quale, per la verità, già partiva con scarsissime possibilità di riuscire a combinare qualcosa di elettoralmente spendibile, impresa questa di per sé già piuttosto complicata in relazione ai colossali problemi sistemici che affliggono il nostro Paese. Ma dopo il disastro dell’ex-Ilva, che ha finito di compromettere il residuo di credibilità internazionale che ci rimaneva, il quale ha seguito a ruota le inverosimili fibrillazioni di una Legge di Bilancio eufemisticamente tormentata, non ci sono più spazi di mediazione nell’arlecchinesca maggioranza che ancora regge, seppur piuttosto malamente, le redini del Paese.

E se prima della fuga di ArcelorMittal, ampiamente provocata dalla oramai tristemente nota irresponsabilità grillina, l’Europa e i mercati finanziari giudicavano positivo un Esecutivo che, almeno in teoria, offriva più garanzie di restare nella moneta unica rispetto a quelle di una Lega con alcuni noti esponenti no-euro (Claudio Borghi e Alberto Bagnai su tutti), oggi la loro percezione sembra decisamente diversa. Non a caso lo spread, che come è noto misura il grado di affidabilità di uno Stato sovrano nel gestire il proprio debito, ha ricominciato a salire verso quota 200, alternandosi in una ben poco entusiasmante gara al rialzo con quello della Grecia.

In estrema sintesi, il modo disastroso con cui si sta ancora portando avanti la vicenda della più grande acciaieria europea, all’interno di un fritto misto di qualche proposta sensata, seppur tardiva, molti rigurgiti dei più oltranzisti tra i pentastellati e quintalate di sterili buone intenzioni, ha dato ad intendere a chi ancora avesse intenzione di investire in Italia, comprando aziende o semplici titoli di Stato, che la suddetta maggioranza giallo-rossa non sarebbe minimamente in grado di affrontare una condizione di grave emergenza economica e finanziaria, anche assai più blanda rispetto a quella che nell’autunno del 2011 costrinse l’allora Governo di centrodestra a lasciare il pallino ai tecnici di Mario Monti.

D’altro canto, dopo i surreali balletti del cosiddetto Conte 1 sulle grandi opere infrastrutturali, con la ridicola messinscena dell’analisi costi-benefici sulla Tav, l’altrettanto pazzesca farsa sullo scudo penale tolto e ripristinato più volte, con i grillini guidati da Barbara Lezzi schierati a testuggine per ottenere la chiusura definitiva dell’ex-Ilva, ha inferto il colpo di grazia reputazionale al Paese di Pulcinella e chi lo guida in questo momento storico. Ovvero un Esecutivo che si trova, analogamente alla povera e martoriata Venezia, letteralmente sommerso dall’acqua alta dei problemi insolubili. Tutte situazioni estremamente complesse le quali, così come ha tentato nuovamente di fare il Premier intervenendo nella splendida città lagunare, non potranno essere certamente affrontate con i vini e i tarallucci di Giuseppe Conte.

Aggiornato il 18 novembre 2019 alle ore 09:51