Prescrizione, quel baratto tra Bonafede ed Anm

venerdì 6 dicembre 2019


Ringrazio della prova di militanza ed appartenenza di tutti i colleghi che stanno partecipando alla maratona svegliandosi a ore antelucane e che avrebbero meritato una presenza più numerosa da parte della avvocatura romana che sono sicuro non mancherà nei prossimi giorni.

Ho usato il termine militanza appartenendo io ad una generazione che sulle idee politiche si divideva e combatteva, anche drammaticamente. Oggi questa militanza politica di dividersi e combattere per delle idee è venuta meno ed è un grave perdita poiché se c’è un tema sui cui ci si dovrebbe confrontare e discutere è una certa idea del processo penale. La prescrizione non è soltanto un istituto con le sue caratteristiche ma è una certa idea garantista e riformista del processo penale. Che la sinistra italiana si è persa per strada da molto tempo. L’idea di processo penale da difendere è quella di una struttura di processo che non perda per strada i suoi tratti di umanità, il recupero e riscatto sociale ed il rispetto dei diritti e dei più deboli. Parole che una volta facevano parte di una certa tradizione e che oggi ci siamo perduti per strada. Mi ha colpito quanto riferito dal presidente dell’Ucpi, Gian Domenico Caiazza, sul congresso dell’Associazione nazionale magistrati di Genova. Di fronte all’ennesima promessa del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, di accantonare la riforma delle carriere, a quanto pare, anche i propositi più critici sulla riforma che sospende la prescrizione, sono stati frettolosamente accantonati. Dispiace per il presidente di Anm, il dottor Luca Poniz, che appartiene ad una area della magistratura che dovrebbe essere molto sensibile ad una certa idea umanitaria e riformista del processo penale. Eppure dovrebbero sapere come chiunque di noi frequenti le aule di giustizia che il processo penale è un a malattia, un dolore un tormento per chi lo subisce. Noi avvocati lo sappiamo vivendo con i nostri assistiti giorni di angoscia e di tensione e quando tutto finisce loro spariscono come se volessero dimenticare tutto, anche l’avvocato che ha combattuto con loro il processo è una memoria terribile da ricordare. Guardavo un film sul processo di Norimberga, c’era una sequenza in cui gli avvocati delle potenze vincitrici si interrogavano sul senso di celebrare un processo penale ad acclarati criminali nazisti e non giustiziarli come criminali irrecuperabili. Uno di loro risponde: no, ha un senso, quella che deve essere una punizione non può essere una vendetta, il processo deve escludere il senso di vendetta per diventare una testimonianza di verità. Il processo penale è appunto una testimonianza sulla realtà, una memoria ed un messaggio verso il futuro; un processo in uno stato liberale è anche un processo che non nega la realtà. Ricordo un episodio recente: un giudice che si è ucciso nel momento in cui ha appreso di essere indagato, ha capito di essere rimasto solo, pur essendo abituato al processo non ha retto il dolore del processo. Fortunatamente abbiamo anche esempi del processo che è anche speranza, uno sguardo nel futuro. Due esempi recenti: uno ci viene da Londra dove l’autore di un omicidio efferato ha salvato delle vite bloccando l’estremista islamico sul London Bridge. È per le nostre idee di libertà, garanzie e riscatto sociali che noi avvocati siamo qui. Queste idee non moriranno mai e domani sono destinate fatalmente a trionfare.

(*) Intervento pronunciato in occasione della maratona oratoria organizzata a Roma dall’Unione Camere Penali per la verità sulla prescrizione


di Cataldo Intrieri (*)