Tutte le falsità degli slogan sull’istituto della prescrizione

mercoledì 11 dicembre 2019


Intervento pronunciato in occasione della maratona oratoria organizzata a Roma dall’Unione camere penali per la verità sulla prescrizione

Buongiorno a tutti, sono molto contento di essere qui con voi per questa manifestazione che non è un esercizio sterile di “parresia” o di stile oratorio, ma è la testimonianza più viva e fulgida della passione civile e politico nel senso altro del termine che le camere penali stanno mettendo in campo contro questa riforma e della spontaneità con cui riescono ad affrontare temi cari a noi tutti, che sono temi che affondano le radici alle basi edificative dello stato di diritto. Spontaneismo che ha caratterizzato quell’altro dei movimenti che recentemente hanno riempito le piazze italiane delle sardine. Sono convinto che anche gli avvocati sono abituati a nuotare controcorrente, non siamo spaventati dal mare aperto anche quando è increspato o mosso da venti molto tempestosi o tumultuosi.

Mi limiterò ad elencare e segnalare alcuni luoghi comuni che affaticano e complicano il dibattito attuale su questa riforma che vorrebbe appunto bloccare la prescrizione del reato. Vorrei farlo pensando di parlare non a voi avvocati che siete qui, ma ai cittadini provando a demistificare alcuni luoghi comuni invalsi nell’immaginario collettivo sulla prescrizione. Il lessico della politica è ormai ridotto a cinquanta parole e quello della politica criminale ad ancor meno parole, si parla solo di punire di più, punire ancora, solo di certezza del diritto intesa come certezza del carcere, del carcere stesso come luogo non di recupero ma come luogo di marcescenza dell’individuo e questo lessico così impoverito e barbaro oggi tocca anche il tema della prescrizione. Io vorrei limitarmi ad indicare quasi fosse una sorta di pamphlet a favore del blocco di questa riforma che vuole eliminare la prescrizione partendo appunto da alcuni luoghi comuni quando una riforma viene attratta dalla forza centripeta del dibattito politico e viene trivializzata dagli slogan. Chiarisco la loro fondatezza o la loro falsità.

Parto da un punto a cui si richiamano i propugnatori di questa riforma: la prescrizione è un istituto nocivo, una patologia del sistema e primo responsabile delle inefficienze e dell’ineffettività del processo. Falso. Non è la prescrizione il responsabile, ma la durata irragionevole del processo che ormai in Italia è arrivata a limiti non comparabili con quelli dei Paesi a noi vicini ad esser responsabile dell’ineffettività del sistema. La prescrizione in questo contesto rappresenta l’unico antidoto, purtroppo, rispetto ad un processo interminabile e ad un imputato che potrebbe rimanere per sempre intrappolato in una sorta di “ergastolo processuale”.

Secondo luogo comune: la prescrizione è una patologia tutta italiana, ossia un istituto che con italica astuzia permetterebbe di evitare un processo doveroso. Falso. La prescrizione è un istituto presente, conosciuto e disciplinato in tutti gli ordinamenti a noi vicini dal punto di vista culturale. Ed è disciplinato da sequenze ben precise che però quando ci si misura col contesto italiano delle sue peculiarità devono tenere presente.

Terzo luogo comune, il più diffuso, la prescrizione è un salvacondotto per i colpevoli, ossia una specie di passepartout o beneficio concesso a chi, se fosse stato poi giudicato da un processo compiuto sarebbe stato certamente condannato. Falso. La prescrizione è un istituto che considera l’indagato e imputato ma come dice la nostra Costituzione, un presunto innocente, dunque non può essere considerata un salvacondotto per i colpevoli. Anche si ci muoviamo nella prospettiva di chi, avendo commesso un reato, potrebbe o dovrebbe esser giudicato colpevole la prescrizione mantiene una valenza che va considerata poiché un sistema privo di prescrizione che consegnasse e abbandonasse l’imputato nella morsa del procedimento penale sine die vorrebbe dire un sistema che impedisce a quel soggetto che pure ha sbagliato di recuperare una propria verginità giuridica e quindi questo soggetto sarebbe fatalmente portato a scegliere di delinquere ancora come chiunque sappia di non avere più nulla da perdere.

Quarto, la prescrizione è un escamotage molto caro agli avvocati che sanno ben districarsi nei meandri e percorsi del processo penale per avvantaggiare il proprio assistito. Falso e anche calunnioso per la categoria degli avvocati, perché un rinvio chiesto per un impedimento di un avvocato può essere concesso ma viene sospeso a prescrizione sospesa. A meno che non si voglia intendere che qualsiasi esercizio di un diritto o di una facoltà difensiva rappresenta un espediente nelle mani degli avvocati.

Quinto, che ritengo particolarmente importante: la prescrizione è un istituto che mortifica le vittime e la loro pretesa di giustizia e che avalla e consente un diniego di giustizia per le vittime. Falso. Un sistema processuale senza prescrizione, quindi senza limiti di tempi che impongono un perimetro di gioco definito per l’accertamento processuale, questo sì, sarebbe un sistema che mortifica le vittime che chiedono una risposta celere e certa anche alle loro pretese risarcitorie non garantita da una durata irragionevole del processo.

Sesto: la prescrizione è un fenomeno che distrugge l’attività processuale quando è ormai giunta quasi al suo termine e compimento, quando sta per passare la sentenza di condanna. Falso. La prescrizione, un po’ come la xilella, è una malattia che purtroppo contamina e si diffonde molto più facilmente nelle piante giovani e contamina e si diffonde soprattutto, lo dicono le statistiche, nella primissima fase, quella embrionale del procedimento, poiché più del 70 per cento delle prescrizioni vengono dichiarate in primo grado e di queste più del 50 per cento nella fase delle indagini preliminari.

Questo dovrebbe già rendere chiaro che la riforma che sta per entrare in vigore ha sbagliato bersaglio ed obiettivo. Perché non risolverebbe il problema che si prefigge di risolvere. Vengo alle argomentazioni favorevoli che sono state già ricordate in interventi particolarmente puntuali di questa maratona. La prima è il diritto di difesa. Difendersi dopo molti anni, esercitare il diritto di difesa nel contraddittorio tra le parti è estremamente difficile se non impossibile, perché già è estremamente difficile se non impossibile ricostruire compiutamente i fatti. Secondo la presunzione di innocenza, ormai una delle garanzie più vituperate, direi la più semplice, la più fondativa ma anche la più disarmata delle garanzie del processo penale e del sistema di giustizia penale. La presunzione di innocenza è sostanzialmente sovvertita da una riforma che blocchi la prescrizione. Perché una riforma che blocchi la prescrizione lasciando in balia del potere dello Stato un individuo imputato sine die, usque ad mortem, è una riforma che farebbe ricadere le inefficienze e le ineffettività del processo penale non più sullo Stato ma sul reo, trasformando il principio “In dubio pro reo” nel suo contrario “In dubio pro re publica”, come volevano i giuristi di regime negli anni Trenta. Terzo punto: la durata ragionevole del processo non è una facoltà ma un diritto, una situazione giuridica soggettiva che ha pienezza di valore e questo diritto verrebbe travolto dalla riforma in atto in un contesto in cui la durata media del processo italiano, ce lo dicono i report internazionali di gruppi di monitoraggio in seno al Consiglio d’Europa, è straordinariamente più elevata, il doppio o il triplo di quella dei Paesi civili. Questo diritto ha uno spessore costituzionale e convenzionale che noi tutti conosciamo bene e l’aver anteposto l’entrata in vigore della riforma sulla prescrizione rispetto all’adozione di misure che consentano e garantiscono una durata ragionevole al processo è un “hysteron proteron” che significherebbe invertire il normale ordine logico delle questioni. Sarebbe come, rispetto ad una macchina che ha un motore dotato di una cilindrata elevatissima, eliminare l’ultimo freno di emergenza, la prescrizione, prima di imporre dei limiti di velocità.

Vi lascio con questa domanda: si è detto “variamo la riforma della prescrizione” e subito dopo “ci occuperemo di introdurre delle misure che riportino ad una durata ragionevole del processo penale”, addirittura a tre o quattro anni la sua durata complessiva. A me pare il mondo di Utopia o il Truman show ma quand’anche dovessimo dare credito a questo progetto, la domanda è: siamo disposti a dare credito e liquidare in via anticipata, quasi a mo’ di caparra, una quota dei nostri diritti e delle nostre libertà di fronte alla contro promessa che prima o dopo, forse, ci verrà restituita? Siamo davvero disponibili a rinunciare ad un segmento, ad una porzione dello stato di diritto di fronte a questo genere di promessa e ad una riforma che forse sarà adottata “salvo intese”? Credo che a questa domanda noi tutti, come cittadini, prima che come giuristi, dobbiamo rispondere con un no. Come rispondeva Francesco Carrara proprio parlando di prescrizione qualche secolo fa: “Etiamsi omnes, ego non”, quand’anche tutti, io no!

(*) Professore di Diritto penale all’Università di Bologna. Camera penale di Bologna


di Vittorio Manes (*)