Cosa accadrà senza più prescrizione: alcuni casi per capirlo

Intervento pronunciato in occasione della maratona per la verità sulla prescrizione organizzato a Roma dall’Unione camere penali.

Io vi voglio raccontare come sarebbe il mondo senza prescrizione. Perché, in realtà, noi già lo sappiamo. A dispetto della cattiva informazione e dell’ignoranza su questo tema, già oggi abbiamo dei reati imprescrittibili, poi abbiamo dei reati per cui il legislatore ha raddoppiato i termini di prescrizione, come i reati associativi, di maltrattamenti in famiglia, stupri ed alti reati. Questo lo dico perché la stampa, la televisione, i giornalisti di un certo rilievo dovrebbero informarsi prima di creare allarme e dire certe cose. Penso all’intervento della Sciarelli dell’altra sera che diceva che gli stupri non si devono prescrivere. Federica Sciarelli, quando parla a milioni di telespettatori, dovrebbe quantomeno informarsi sul termine di prescrizione per gli stupri, che è raddoppiato già da diversi anni. Poi c’è un’altra categoria di reati, di cui vi porterò qualche esempio, che sono quelli che io definirei reati a consumazione progressiva, cioè quelli in cui tra la condotta e la sentenza passa un tempo così lungo che di fatto diventano imprescrittibili. Vediamo che cosa succede.

Tre casi, che riguardano condotte degli anni Ottanta e che hanno avuto una definizione nel 2019. Tre definizioni diverse, un’assoluzione, un ordine di carcerazione ed un rinvio a giudizio del novembre di quest’anno. Il primo è un caso di bancarotta. I reati di bancarotta sostanzialmente non si prescrivono, perché hanno dei termini con le aggravanti lunghissimi che oggi arrivano a 22 anni e mezzo e poi hanno la peculiarità che il termine di prescrizione decorre dalla sentenza di fallimento, che spesso interviene a distanza di anni dalle condotte. Sabato mattina un assistito di 81 anni, diabetico, è stato portato a Rebibbia per l’esecuzione di una sentenza che riguardava condotte degli anni Ottanta. Il cumulo giuridico ha fatto sì che venisse arrestato sabato mattina. Ad 81 anni. L’articolo 27 della Costituzione ci dice che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Cosa rieduchiamo ad 81 anni, sette anni di condanna, uscirà ad ottantotto. Lo Stato sarà fiero di averlo rieducato.

Il secondo caso di omicidio colposo relativo all’assunzione di farmaci che hanno portato alla morte per epatite C, che è una malattia che ha un decorso di 30 anni e la prescrizione decorre dalla morte. Quindi per contagio avvenuto negli anni Ottanta e deceduti nel 2011-2013 dopo 26 anni di processo, si è concluso a marzo scorso il giudizio di primo grado con un’assoluzione perché il fatto non sussiste. Sapete cosa vuol dire restare 26 anni sotto processo per esser poi assolti e anche essere persone offese costituitisi parte civile per la morte dei propri cari e attendere ventisei anni per veder concludere il processo con una assoluzione perché il fatto non sussiste?

L’ultimo caso, forse il più esemplare, riguarda dei morti da amianto. Sappiamo che l’amianto produce i suoi effetti dopo moltissimi anni. Considerato infortunio sul lavoro. Stiamo parlando sempre di condotte degli anni Ottanta, il mesotelioma ha 44 anni di latenza, morti tra il 2000 e il 2013, c’è stato un rinvio a giudizio a novembre di quest’anno. E il processo di primo grado inizierà a gennaio del 2020. Il mio assistito è del 1932, ha 86 anni. E non rappresenta il record all’interno di questo processo, perché tra gli imputati ce n’è uno che ha ora 96 anni e si è visto appena rinviare a giudizio. Persone che hanno certo la necessità di una rieducazione ma che non l’avranno, ovviamente, mai.

Questo è ciò che accade già oggi ed è già una profonda ingiustizia ed è quello che dal 1 gennaio 2020 accadrà per tutti i reati. Per questo siamo qui a condurre le nostre battaglie. Perché la realtà già la conosciamo. Ora, se il processo dura, agli avvocati conviene. Ma siamo qui perché dal gennaio prossimo ci saranno persone che a novant’anni si vedranno portate in carcere per un furto di settant’anni prima. Ora, ministro Alfonso Bonafede, è questo davvero il mondo che vogliamo? È questa la realtà a cui lei aspira? Non sarebbe meglio investire nella macchina di giustizia, spendere soldi per accelerare i processi e rendere effettivi dei diritti che sono riconosciuti non solo dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo ma sono acquisizioni del patrimonio filosofico occidentale da Cesare Beccaria?

Termino con la lettura di qualche parola di Cesare Beccaria: “Quanto la pena sarà più pronta e vicina al delitto commesso, ella sarà tanto più giusta e tanto più utile. Il processo medesimo deve esser finito nel più breve tempo possibile. Qual più crudele contrasto tra l’indulgenza del giudice e le angosce di un reo, i comodi ed insensibili piaceri di un magistrato da una parte e dall’altra le lacrime e lo squallore di un prigioniero”.

Era la fine del 1700 e questi sono i fondamenti del nostro stato di diritto.

(*) Avvocato penalista del Foro di Roma e della Camera penale di Roma

Aggiornato il 12 dicembre 2019 alle ore 16:11