A proposito di “exceptio veritatis”

Ora vi spiego che cosa è l’exceptio veritatis. Lo faccio con parole semplici: le stesse che userebbe l’ineffabile Alfonso Bonafede.

Quando una persona è accusata di avere (ingiuriato, un tempo) diffamato un’altra persona attribuendole un fatto determinato, in taluni casi, l’autore della dichiarazione è ammesso a provare la verità del fatto.

Questa regola elementare, sancita dall’articolo 596 del Codice penale, esprime un principio di giustizia secondo il quale (salvo che si tratti di offesa gratuita), l’interesse pubblico alla verità prevale su (anzi: esclude) la lesione all’onore. Conseguentemente – guardate la perfezione tecnica del codice illiberale dei fascisti – il diritto di libera espressione del pensiero non può subire limitazioni, ed è concessa la facoltà di prova della verità del fatto enunciato. Qualora il fatto riguardi le funzioni di un pubblico ufficiale, la facoltà di prova è sempre ammessa.

Ecco che cos’è l’exceptio veritatis.

Bene. Detto questo, e invitandolo, se ne ha il coraggio, a deferire la questione ad un giurì d’onore (sempre articolo 596 del Codice penale), io dico al Guardasigilli, al secolo Alfonso Bonafede, avvocato: le sue affermazioni in qualità di ministro in tema di elemento soggettivo del reato mi inducono a chiedermi se lei abbia davvero sostenuto l’esame di Diritto penale.

Lei mi quereli: io proverò che lei dice sciocchezze che imporrebbero la bocciatura di qualunque studente.

Aggiornato il 12 dicembre 2019 alle ore 17:30