Crisi: attendendo il Quirinale

Sintomo fra i più gravi e riconoscibili di una crisi politica è, da sempre, l’abbandono di parlamentari dal partito d’origine e l’approdo su altre sponde. Ovviamente, da sempre, s’ergono alte e forti le condanne per i reprobi scagliate dal partito di provenienza con l’accusa principe insita nell’immancabile mercato delle vacche che richiama le pratiche di compravendita, di mercimonio, di traffici illeciti, di intrallazzi in nome e per conto di quella pratica che va sotto il nome di trasformismo.

E non è dunque un caso che il ministro Luigi Di Maio abbia tuonato contro l’uscita di un senatore pentastellato verso i lidi leghisti evocando, per l’appunto, in una con le contrattazioni di cui sopra, l’antica piaga del trasformismo omettendo tuttavia, come ha osservato il nostro direttore, l’uso da parte del Movimento 5 Stelle medesimo di quella stessa pratica nel cambio di alleanze politiche, dalla Lega al Partito Democratico, dimentichi probabilmente della sempre attuale massima del “chi di trasformismo ferisce, di trasformismo perisce”.

Invece di interrogarsi sulle motivazioni politiche che stanno alla base di una scelta comunque esposta a critiche, il M5S si illude di trovare nelle contumelie criptoetiche liquidatorie un rifugio per gli errori vistosi commessi fino ad ora nel Governo, una scusa, una sorta di ragione ribaltata pro domo sua quando, invece, una riflessione severa e autocritica sarebbe, se non il toccasana, per lo meno l’inizio di un recupero per lo meno di credibilità.

Del resto, lo spettacolo rappresentato in questi giorni in occasione dalla presentazione della Legge di Bilancio, e soprattutto del Mes, ha oscillato fra un film del leggendario Totò e una pellicola dei mitici Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, riaggiornati dalla loro assenza dal rincorrersi senza tregua e senza logica di modifiche, nuove proposte, rifacimenti, verifiche diurne e notturne sullo sfondo di una maggioranza traballante e di una situazione economica che sta peggiorando e alla quale non sembrano essere stati posti rimedi, progetti e interventi degni di questo nome.

Per l’appunto il Mes: passato dopo sedute, riunioni, giorni, settimane di incontri e scontri, di accuse e di polemiche abbastanza inutili e a volte pretestuose – con al fondo l’intramontabile cartello con su scritto “i giochi sono fatti” – sembrava imboccare la svolta pericolosa della crisi arrestandosi, per ora, con la sua approvazione ma mostrando, proprio nelle perdite di tempo in quelli che qualcuno ha chiamato problemi immaginari, i rischi concreti e gli impegni urgentissimi tralasciati e rinviati per insipienza e incapacità.

Bastano due nomi per evidenziarne la gravità, dall’Ilva all’Alitalia, e le responsabilità di una maggioranza e di un Governo che poco o nulla hanno fatto per porvi rimedi credibili giacché, prendendo ad esempio la situazione dell’Ilva, il “Governo ha fatto finta che non fosse un problema reale” e per di più giocando a rimpiattino con le varie anime pentastellate locali, nel solco delle idiozie pronunciate irresponsabilmente dal loro boss che pretendeva su quell’area verdeggiante la realizzazione di giardini pubblici. E quanto all’Alitalia, i messaggi e gli avvertimenti sulla sua situazione sempre più grave erano noti a tutti, ma non a questo Governo che ha rivelato, se ce ne fosse ancora bisogno, una impreparazione tanto più colpevole quanto più quei problemi erano prevedibili.

Da più parti si invoca l’intervento del Quirinale per tagliare il nodo gordiano di Giuseppe Conte mandando il Paese alle elezioni anticipate. L’impressione, tuttavia, è che pur con la consapevolezza della estrema fragilità della coalizione, il presidente Sergio Mattarella sia restio a forzare la situazione preferendo prendere atto della crisi piuttosto che “provocarla”, con una maggioranza ancora c’è in Parlamento.

Ma non può ignorare che la tenuta parlamentare – con una maggioranza difficile da tenere insieme e col rischio concreto di fuoriuscite di deputati e senatori – sia un miraggio di fronte ai problemi reali del Paese.

En attendant Mattarella, non Godot.

Aggiornato il 13 dicembre 2019 alle ore 12:42