Bonafede e il reato doloso

Facoltà di Giurisprudenza di una qualunque Università italiana. Esami di Diritto penale circa l’elemento soggettivo del reato. Domanda del docente: “Mi parli del reato doloso”. Risposta dello studente: “Quando il reato non si riesce a dimostrare il dolo, e quindi diventa un reato colposo, ha termini di prescrizione molto più bassi”. Letterale.

Replica del docente: “Innanzitutto, impari a parlare correttamente in italiano: avrebbe dovuto dire “del reato” e non “il reato”. E dovrebbe dotare il suo “ha termini di prescrizione” di un soggetto riconoscibile, cosa che invece non ha fatto. Inoltre, se lei pensa – come pare lei pensi, e sempre ammesso riesca a pensare – che la mancata prova del dolo trasformi il reato in colposo, allora si accomodi pure e vada a casa a studiare la differenza fra dolo e colpa nella struttura del reato. Infine, non si presenti qui al prossimo appello, fra un mese o due. Torni invece alla prossima sessione di esami, fra tre o quattro mesi, il tempo che le ci vorrà per capirci qualcosa. Perché adesso lei ha le idee molto confuse. Arrivederci e buona fortuna”.

Questo il probabile dialogo che sarebbe tessuto in sede di esami fra un normale docente di Diritto penale e uno studente incapace di comprendere la differenza fra dolo e colpa, al punto da dare per scontato che se non si riesca a provare il dolo, allora il reato, da doloso che era, diventa colposo, godendo ovviamente di un più breve termine di prescrizione.

Esempio. Se un Tizio è imputato per diffamazione – reato doloso – e del dolo non si raggiunga la prova, non assistiamo alla trasformazione di tale reato doloso in reato colposo, semplicemente perché la diffamazione colposa non esiste come reato, non c’è. Lo stesso dicasi per tutti i reati dolosi: una legge di trasformazione automatica del reato da doloso in colposo, in caso di mancata prova del dolo, esiste solo nella mente degli studenti davvero asini, quelli che non sospettano neppure che fra reato doloso e reato colposo a cambiare radicalmente è proprio la struttura ontologica del reato, senza che si possa ipotizzare una sorta di automatismo metamorfico.

Certo, un omicidio che poteva sembrare dapprima volontario – cioè doloso – dopo le necessarie indagini, potrà essere derubricato in omicidio colposo o preterintenzionale, ma non si dà trasformazione di un reato in un altro, quasi fossero vasi comunicanti. Si tratta invece di reati diversi, perché ciascuno suppone una condotta diversa, la quale, se nasce dolosa, dolosa rimane. Se colposa, lo era fin dall’inizio e non lo è diventata certo strada facendo. Per ciò che riguarda la lingua italiana, meglio lasciar perdere senza approfondire.

Va però rilevato che queste affermazioni sopra criticate sono state pubblicamente proclamate non da uno studente confuso o da uno che non capisce nulla di leggi e pandette, non essendovi tenuto per la professione che esercita – come potrebbe essere per esempio un medico o un ingegnere – ma dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.

E allora bisogna constatare con vera preoccupazione che probabilmente il nostro è il solo Paese del mondo in cui chi ricopra quella carica fondamentale per il buon funzionamento dell’esecutivo ed anche del potere legislativo, dopo aver pronunciato tali assurdità, nel corso di una popolarissima trasmissione televisiva come “Porta a Porta”, rimane ancora al suo posto, come nulla fosse accaduto. Eppure, molto, moltissimo – e di assai grave – è accaduto.

Che infatti un ministro dica pubblicamente cose del genere fa rizzare i capelli sulla testa, a chi appena ne capisca; se poi si tratta addirittura, come in questo caso, del ministro incaricato di organizzare, coordinare, legiferare in tema di amministrazione della giustizia, siamo davvero perduti.

Senza timore di esagerare, la nostra perdizione di italiani – alla quale sembriamo destinati almeno fino a quando questo Governo si sarà dimesso – sta non solo nel fatto che Bonafede dica quelle cose, ma, ancor più, nella circostanza che le dica senza rendersi conto di ciò che dice e che poi – dopo che qualcuno glielo abbia fatto notare – non ne tragga le debite conseguenze, lasciando libera la poltrona che occupa, ma anzi restandole aggrappato ad ogni costo.

L’Ordine degli avvocati di Palermo, inorridito, ha chiesto ufficialmente le dimissioni del ministro, ma questi non ha neppure replicato.

Non so se per la pubblica opinione sia abbastanza chiaro come e quanto sia preoccupante che un ministro della Giustizia affermi durante una trasmissione televisiva l’esistenza di una legge di trasformazione dei reati – da dolosi a colposi – come si trattasse di una cosa ovvia e risaputa. Sarebbe come se il ministro della Salute – clinico medico – affermasse tranquillamente che per curare il raffreddore occorrono gli antibiotici: la comunità scientifica ne reclamerebbe subito le dimissioni. Ottenendole.

In questo caso invece, niente dimissioni. Niente ripercussioni. Nulla di nulla. Bonafede non comprende allora che ogni rapporto di natura politica, basandosi su un dato eminentemente fiduciario, ha bisogno di essere coltivato ed alimentato proprio dalla e nella fiducia dei governati nei confronti del governante. Ma come si potrà nutrire la necessaria fiducia da domani in poi in un ministro, che, pur essendo avvocato, si lasci andare a simili affermazioni che palesano una incresciosa ed imbarazzante superficialità giuridica e culturale?

Anche perché – come accade purtroppo in tali casi – un retropensiero fa capolino, occhieggiando da un angolino della mente, sospingendo a chiedersi: questo è ciò che si sa e che si è ascoltato da parte di milioni di spettatori, trattandosi di una nota trasmissione televisiva. Ma quando nessuno ascolta, quando Bonafede rimane chiuso nelle monumentali stanze del ministero, quando colloquia soltanto con la ristretta cerchia dei suoi collaboratori, cosa sarà capace di dire, senza che alcuno la sappia?

E ancora. Quando Bonafede pensa, cosa e come pensa in punto di diritto?

Spero allora che mentre egli mediti in quei luoghi ministeriali che furono abitati in passato da insigni giuristi – Aldo Moro, Guido Gonella, Giuliano Vassalli, Giovanni Conso, per ricordarne solo alcuni – i fantasmi di costoro possano apparirgli, per ammonirlo a lasciar perdere, a liberare la poltrona che fu da loro occupata, perché il paragone non regge.

Altrimenti, che Dio ci guardi!

Aggiornato il 13 dicembre 2019 alle ore 17:37