Domani arriverà lo stesso

mercoledì 25 marzo 2020


Dicono che oggi sia il tempo di restare tutti uniti, di comportarsi da patrioti e di cantare l’inno nazionale sul balcone per ritrovare l’orgoglio di popolo. E sia, nonostante avremmo non poche osservazioni sui novelli patrioti, su coloro che – per convenienza politica o per istinto di gregge – hanno appena scoperto il Tricolore dopo averlo ignorato per una vita se non proprio schifato perché reputato volgare ammennicolo sovranista. Ma domani arriverà lo stesso e, a bocce ferme, bisognerà riflettere su una serie di aspetti per non dimenticare, per imparare da ciò che è successo in questi terribili mesi. E bisognerà riflettere sul nostro sistema sanitario, uno dei più equi e funzionanti al mondo, troppo spesso considerato come una voce di spesa qualsiasi e quindi depotenziato per questioni di bilancio o per rispondere in tempi rapidi con tagli lineari alla cieca imbecillità rigorista di qualche commissario europeo.

Bisognerà riflettere sul mondo accademico e considerare i meccanismi in base ai quali molti diventano professoroni, scienziati, mega presidenti, primari, ricercatori onde poi non essere in grado di riconoscere il pericolo derivante da un virus che sta mietendo un numero consistente di vittime. Alcuni ci avevano detto di lavarci le mani, di stare tranquilli perché era poco più di una banale influenza e il circuito mediatico li aveva osannati perché funzionali alla narrazione di regime. Adesso costoro dovrebbero spiegarci come mai, da bagattella annunciata, siamo finiti reclusi in casa ad aspettare i numeri (si spera reali) della Protezione civile sulla conta dei morti. Morti e contagiati a cui si aggiungono coloro che sono stati buttati a mani quasi nude in prima linea negli ospedali senza particolari supporti di sicurezza o mezzi tecnici per rianimare gli ammalati.

Supporti che i nostri sedicenti partner si son guardati bene dal condividere in una logica di egoismo che manda l’Europa in ordine sparso ogni qual volta spunti una crisi. Anche sull’Europa bisognerà riflettere nonostante qualche battutaro, come Nicola Zingaretti, abbia la faccia di sostenere che senza l’Europa non ne saremmo venuti a capo. E, a proposito del segretario del Partito democratico, bisognerà fermarsi a capire come sia stato possibile che molti asintomatici come sportivi e uomini in vista siano riusciti a lasciare il Paese o ad ottenere un tampone ove i cittadini comuni o i medici con sintomi si siano visti negare l’accertamento.

Bisognerà inoltre riflettere sulla nostra classe dirigente ma non ipotizzando derive autoritarie come insinua qualcuno a proposito delle misure poste in essere dal Governo in carica: un Esecutivo, in un momento di emergenza, deve mettere in campo tutte le misure che reputa opportune per salvare il Paese. Semmai – vista la completa inadeguatezza della classe dirigente che in questo momento ci guida – bisognerà riflettere sul fatto che le elezioni non sono un momento per esternare il proprio tifo. In Italia abbiamo scherzato per troppo tempo con le istituzioni: abbiamo eletto ragazzini incapaci che hanno appoggiato capi del Governo inadeguati che a loro volta hanno conferito dicasteri a uomini presi per strada.

Poi è arrivato lo tsunami e c’è stato chi – come Zingaretti – si è messo a fare aperitivi antirazzisti con i cinesi in Italia perché non c’era la pandemia ma il razzismo. C’è stato chi – da presidente della Regione – ha bollato come razzista qualsiasi forma di screening e c’è stato chi – come il professor Giuseppe Conte – ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria a gennaio onde poi fare i primi provvedimenti stringenti agli inizi di marzo, collezionando decreti scritti male e autocertificazioni che cambiano come si cambiano i pedalini. La classe dirigente è inadeguata e te ne accorgi dai provvedimenti tardivi e dallo scaricabarile indegno a cui abbiamo assistito in questi giorni: all’inizio è stata colpa dell’ospedale di Codogno perché non ha rispettato i protocolli, poi è stata colpa dei Governatori che andavano commissariati e infine è stata colpa della Regione Lombardia perché ha diffuso la bozza dei decreti non ancora approvati (notizia poi risultata falsa e su cui nessuno ha stranamente mai più appurato le responsabilità).

C’è qualcuno che ha anche detto che le risposte inefficaci sono dovute alle opposizioni. Insomma, una situazione assolutamente esecrabile che mette a nudo una classe dirigente inadeguata e subito pronta a fare scaricabarile e “badogliate”. Tra poco – finita la crisi sanitaria – il vero problema sarà la crisi economica e già fioccano provvedimenti che definire inutili è veramente un complimento. La crisi è una crisi di domanda che rischia di far chiudere le aziende, i commercianti e le Partite Iva ma loro pensano a delle forme di garanzia che permettano agli imprenditori di acquistare liquidità a buon mercato garantita dallo Stato. Perché un imprenditore che non vende i propri prodotti, che non li può produrre e che è strozzato dai costi fissi e dalle scadenze dovrebbe indebitarsi? Mistero.

Anche in questo caso – così come per fronteggiare la crisi sanitaria – arriveremo in ritardo: quando capiremo che non si tratta di una crisi finanziaria da fronteggiare dando linee di credito alle imprese sarà troppo tardi. Quando capiremo che bisognerà sostenere la domanda nel medio periodo ed impedire che le imprese chiudano nel breve periodo il sistema Italia sarà già attaccato al ventilatore. E qualcuno si ricorderà di quei caldi giorni d’estate in cui sui colli più alti di Roma qualcuno pensò di rabberciare una “maggioranza contro” con a capo una comparsa. “Cosa potrà mai succedere?” avrà pensato. Ecco, appunto.


di Vito Massimano