Chi ha la responsabilità della caccia agli untori?

giovedì 26 marzo 2020


Premesso che continuo a considerare le prime, ragionevoli misure di distanziamento sociale, quelle che per intenderci consentivano ancora di mettere il naso fuori di casa pur nell’ambito di rigide precauzioni, assolutamente necessarie. Idem per quanto riguarda il sistema produttivo nel suo complesso. Nel senso che laddove non fosse stato possibile adottare altrettanti rigidi meccanismi di protezione per i relativi lavoratori allora, e solo in quel caso, sarebbe stato giusto e sacrosanto bloccare temporaneamente l’attività. Anzi, per dirla tutta, se si fosse iniziata con largo anticipo una campagna nazionale di tamponi a tappeto man mano che si manifestavano i primi focolai, così come pare sia avvenuto in, probabilmente non avremmo avuto quasi bisogno di adottare provvedimenti che hanno compresso Veneto le libertà dei singoli in una misura che non ha precedenti nella nostra storia repubblicana.

Ma una volta che si è deciso con una rapidissima escalation, la quale ha fatto seguito ad un lungo periodo di grave incertezza da parte del Governo centrale, di relegare di fatto 60 milioni di cittadini agli arresti domiciliari, il più elementare senso di responsabilità avrebbe dovuto consigliare allo stesso Governo una linea comunicativa che in qualche modo disinnescasse i rischi di un generalizzato fenomeno di isteria collettiva, sempre dietro l’angolo di fronte ad un fenomeno di grave portata come quello di una pandemia sconosciuta.  In particolare, si sarebbero dovuti evitare come la peste tutti quei fenomeni di massa che, soprattutto chi ha approfondito gli anni bui dei più celebri regimi dittatoriali della storia mondiale ben conosce, si manifestano in alcune particolari condizioni di sofferenza umana, come la paranoia collettiva basata sul sospetto. Paranoia che genera molti comportamenti distorti anche negli individui più equilibrati.  Tant’è che, dopo una martellante propaganda contro chiunque, quando ancora era consentito farlo, osasse correre o solo passeggiare, si è scatenata una vera e propria caccia all’untore sulla base di una assurda correlazione tra decessi e uscite all’aperto, che nessuno ai vertici del potere, Giuseppe Conte in testa, si è minimante curato di confutare pubblicamente. Anzi, è sembrato che questa impressionante riproposizione su scala nazionale della caccia alle streghe di Salem fosse in qualche maniera funzionale a distogliere l’attenzione dei più sui ritardi nell’affrontare una emergenza ampiamente annunciata e sul successivo caos organizzativo che ne è derivato. E così, invece di concentrare tutte le energie della nazione sulla drammatica trincea sanitaria, abbiamo passato una settimana a discutere del presunto contagio che runner e passeggiatori stavano spargendo in ogni dove.

Il risultato di una così vasta campagna di demonizzazione è oramai sotto gli occhi di tutti. Io stesso ricevo quotidianamente segnalazioni sempre più allarmate di persone che, pur nell’ambito dei ristrettissimi limiti imposti dagli ultimi provvedimenti restrittivi, non appena provano a fare due passi subiscono minacce e intimidazioni da altri concittadini. Spiare e poi denunciare chi passa a piedi sotto le proprie finestre sembra diventato uno sport nazionale, in mancanza di altro. Oramai siamo entrati con tutte le scarpe in una densa palude di sospetto e di odio collettivo in cui la logica e il buon senso stanno letteralmente sprofondando. Un clima che, come se non bastasse la tragedia del Coronavirus, sta già causando profonde devastazioni nel tessuto sociale, le cui cicatrici resteranno nella nostra memoria per molto tempo.

 

 


di Claudio Romiti