Finanziateci, siamo sovrani!

In attesa che i bolscevichi facciano il loro trionfale ritorno, il cui imminente arrivo sembra preannunciato dall’impressionante rigurgito statalista proveniente dalle più profonde viscere di un Paese annichilito, anche sul piano delle ricette economiche per salvare il Paese c’è un coro piuttosto unanime. Un coro che in estrema sintesi si rivolge alle nazioni circostanti con la seguente, imperativa richiesta: finanziateci, siamo sovrani!

Praticamente l’intero mondo della politica, con la piena adesione del circo mediatico che vi gira intorno, è schierato con la compattezza di una falange greca nel raccontare ad una collettività terrorizzata dal coronavirus che l’unica strada per riprenderci è quella che passa per un colossale trasferimento di ricchezze tra l’Europa, sempre identificata come un corpo unico, e l’Italia delle eccellenze, meritevole per diritto divino di ogni cura e sostegno da parte dell’Europa medesima.

Ora, che questo avvenga attraverso una mutualizzazione del nostro colossale debito – vedi eurobond o coronabond che dir si voglia – o che si realizzi attraverso una qualche forma di erogazione di prestiti, più o meno a fondo perduto e senza alcuna condizionalità, importa poco. Ciò che conta è l’impressionante determinazione mostrata dall’intera classe politica nel pretendere, in questo drammatico frangente, di essere sovvenzionati da qualcun altro. Ma non con l’atteggiamento umile di chi sta chiedendo la carità, bensì sulla base di un fiero orgoglio patriottico. Orgoglio patriottico il quale, vorrei permettermi sommessamente di ricordare, è una prerogativa universale nelle società umane e che ciò, unito al fatto che sul piano della pandemia ci troviamo tutti sulla stessa barca, rende del tutto illogico un simile atteggiamento, già prima che esso possa essere declinato in una linea politica da spendersi in quel di Bruxelles.

Altra cosa sarebbe invece contribuire all’elaborazione di un piano continentale per coinvolgere le massime istituzioni europee, Bce in testa, per sostenere soprattutto il sistema produttivo nel suo insieme, evitando come la peste di disperdere la gran massa della liquidità necessaria per riavviare l’economia nei canali della spesa assistenziale, di cui noi purtroppo siamo maestri. Togliamoci quindi dalla testa l’idea che qualcuno, soprattutto in una simile crisi al buio, possa regalarci i quattrini. Così come non balocchiamoci nella speranza, che molti poco attenti osservatori hanno creduto di leggere nell’intervento di Mario Draghi sul Financial Times, di una provvidenziale manna proveniente dal cielo sotto forma di helicopter money, ovvero di un finanziamento a pioggia che arrivi a tutti i cittadini indiscriminatamente.

Purtroppo per noi, dopo l’uscita dal tunnel della pandemia, di cui ancora non si intravede minimamente la luce, la strada della ricostruzione sarà lunga e particolarmente impervia, oltre a non presentare alcuna scorciatoia. Una strada piena di insidie la quale potrebbe riservarci, alla fine del suo percorso, una inevitabile monetizzazione di gran parte del necessario indebitamento aggiuntivo contratto da tutti i Paesi del globo, con alta inflazione e conseguente depauperamento del risparmio accumulato. Esattamente ciò che è sempre accaduto dopo la fine di una guerra devastante. Solo che questa volta non ci sarà un Piano Marshall ad aiutarci nella ricostruzione, con l’aggravante di non avere un Alcide De Gasperi al timone, bensì un Giuseppe Conte, sedicente “avvocato del popolo”, che sembra voler fermare il contagio a colpi di decreti notturni, con tanto di timbro e ceralacca.

Aggiornato il 27 marzo 2020 alle ore 11:19