La genesi del giustizialismo secondo Caselli

Nella difesa di Piercamillo Davigo fatta dall’ex Procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli dall’accusa di giustizialismo, l’ex magistrato ha fornito un’indicazione preziosa sulla genesi del fenomeno che da “Mani Pulite” ad oggi è stato appunto definito “giustizialismo”.

L’indicazione di Caselli è che Davigo, nelle sue posizioni spesso ruvide che superano ogni forma di cortina fumogena, non compie alcun atto di “impazzimento giustizialista” ma non fa altro che riproporre, accanto al tema della legalità, quella “questione morale” che senza il “disvelamento giudiziario” delle inchieste sulla corruzione e sulla Mafia sarebbe rimasta nel dimenticatoio dove era finita dopo la denuncia compiuta a suo tempo da Enrico Berlinguer.

Secondo Caselli, quindi, il giustizialismo non sarebbe altro che la questione morale trasportata dal terreno politico a quello giudiziario per rendere concreto quell’esercizio della virtù che altrimenti rimarrebbe lettera morta ed una semplice esortazione al bene.

Nessun dubbio sulla validità della indicazione di Caselli. Ma a parte ogni considerazione che la questione morale di Berlinguer aveva come obiettivo quello di far saltare il cosiddetto regime democristiano e socialista, cioè un preciso obiettivo politico peraltro perfettamente conseguito grazie alla chiave morale dell’applicazione della giustizia, stupisce che nella difesa di Davigo fatta dall’ex Procuratore non ci sia alcun riferimento alle conseguenze che le istanze morali applicate alla giustizia hanno prodotto nel nostro Paese e nello stesso sistema giudiziario.

Si può tranquillamente ignorare che in un Paese retto da un sistema di democrazia parlamentare un cambiamento politico come quello della fine della Prima Repubblica non sia avvenuto a seguito di regolari elezioni, cioè per consenso popolare, ma solo grazie al metodo giudiziario applicato secondo gli schemi morali (e politici) personali dei magistrati animati dalla volontà di perseguire il bene e la virtù. Ma non si può non registrare che passare dal primato della legge a quello della morale ha avuto come conseguenza principale la sostanziale abrogazione della presunzione d’innocenza prevista dalla Costituzione e l’introduzione nella nuova Costituzione materiale oggi in vigore della presunzione di colpevolezza che espone ogni cittadino ad ogni arbitrio o semplice errore di chi esercita l’azione penale.

Non è affatto una soddisfazione assistere oggi alla devastazione della magistratura provocata dal moralismo giudiziario. Al contrario, è una grande preoccupazione. Perché vuol dire che negli ultimi due decenni anche la magistratura è stata vittima dell’errore di scambiare il peccato per reato. Un errore compiuto sicuramente in buona fede ed in ossequio alle proprie credenze politiche. Ma un errore a cui sarebbe sempre troppo tardi trovare rimedio separando la legge dalla morale e, soprattutto, dalla politica. In nome dello Stato di diritto! Tanto più che il metodo non ha prodotto grandi risultati concreti oltre quelli politici visto che la mafia continua ad operare e la corruzione ad imperare!

Aggiornato il 03 giugno 2020 alle ore 10:08