La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha presentato il piano di contrasto comunitario agli effetti della crisi pandemica. Un programma ambizioso, con molti punti interrogativi. Per chi sta al Governo in Italia ed esulta, la “narrazione” è che da qui a breve sul Paese verranno riversati fiumi di denaro dall’Unione europea. Non è così. Al contrario, il piano conferma un principio fondante della filosofia che cementa il processo d’integrazione comunitario: nulla viene concesso gratuitamente, chi prende deve restituire. Il che, in via di principio non è cosa sbagliata. Il problema sorge quando si tratta di stabilire cosa uno Stato che riceve debba restituire, con quali modalità e a chi. E se la restituzione comporti una compressione significativa della sovranità nazionale. Ora, il piano della von der Leyen, denominato con infelicissima scelta “Next Generation Ue” perché richiama il titolo di una nota serie televisiva ambientata nella fantascienza, non è malvagio. Al contrario, espone in premessa un’analisi lucida della situazione macroeconomica di tutti i sistemi produttivi nei Paesi Ue e stabilisce che dalla crisi si esce tutti insieme e non individualmente, essendo il circuito produttivo europeo fortemente connesso.

Anche gli obiettivi che il piano illustra, per ampiezza e genericità, non possono non essere condivisi. Quando nel documento si legge: “La ripresa dell’Europa sarà un lavoro di squadra che coinvolgerà tutti noi in quanto persone, parti sociali, società civile, imprese, regioni, paesi e istituzioni. Questo è il momento dell’Europa, un’opportunità che dobbiamo cogliere insieme” come non essere d’accordo? Tuttavia, i buoni propositi e le espressioni roboanti non devono trarre in inganno. Altre volte è accaduto che le istituzioni comunitarie avessero concepito programmi di ampio orizzonte, rimasti puntualmente lettera morta. Se il “Next generation Ue” colpisse i target fissati anche solo per il 30 per cento sarebbe già un grande successo. Il piano si fonda su tre pilastri. Primo pilastro. Sostegno agli investimenti e alle riforme che gli Stati membri devono attuare per contrastare la crisi. Per questo capitolo si prevede una dotazione finanziaria di 560 miliardi di euro da ripartire tra sovvenzioni e prestiti. Attenzione! Le risorse sono vincolate alla stesura di programmi nazionali che dovranno attenersi alle priorità d’investimento e di riforma individuati nell’ambito del semestre europeo. Quindi, la festicciola organizzata dal nostro Governo per dire che finalmente ognuno dei soci della maggioranza avrebbe potuto aprire il proprio libro dei sogni è una rappresentazione della realtà che non sta in cielo né in terra. I denari verranno dati esclusivamente a valere su progetti esecutivi approvati nei dettagli da Bruxelles.

Un’aggiunta al fondo di dotazione di altri 55 miliardi di euro potrebbe arrivare dal “React-Ue2”, una misura di rafforzamento della coesione sociale principalmente diretta al sostegno degli indigenti. Secondo pilastro. Rilancio dell’economia dell’Ue attraverso l’incentivazione degli investimenti privati. Si tratta di un sostegno alla solvibilità delle aziende “sane” che hanno perso volumi di fatturato a causa dell’esplosione del Coronavirus. La dotazione finanziaria prevede due step: dal 2020 disponibili 31 miliardi di euro, successivamente si opererà per sbloccare 300 miliardi di euro da destinare al sostegno della solvibilità delle imprese. E qui, per l’Italia, casca l’asino. Quando nel documento si subordina l’intervento alle condizioni di “sanità” delle imprese, cosa si vuole intendere? Che lo stato di salute delle imprese sarà valutato in base ai parametri del merito di credito fissati da “Basilea 3 e 4”? Se così fosse una porzione consistente delle nostre Piccole e Medie imprese potranno dire addio agli aiuti comunitari. Il terzo pilastro. Un programma autonomo e unitario da destinare al comparto della salute; avrà una dotazione di 9,4 miliardi di euro e si chiamerà “Eu4Health”.

Ciò che è successo con il Covid-19, che ha visto i Paesi Ue procedere in ordine sparso e farsi la guerra per accaparrarsi i mezzi di protezione disponibili sul mercato, ha destato molta impressione a Bruxelles. Da qui la necessità avvertita di costruire un percorso comunitario “nella prevenzione, nella preparazione alle crisi, nell’aggiudicazione di farmaci e dispositivi essenziali e nel miglioramento dei risultati sanitari a lungo termine”. Le dolenti note arrivano sull’individuazione degli obiettivi strategici individuati dal piano. I principali riguardano la transizione ecologica, la digitalizzazione dei sistemi produttivi e degli apparati delle pubbliche amministrazioni, l’innovazione tecnologica, il rafforzamento del mercato unico. La prospettiva della Commissione è di riportare una parte delle produzioni all’interno del contesto europeo, che non è affatto un male, ma anche di riplasmare il paradigma d’impresa. Quello che non è chiaro è se la Commissione intenda svolgere un ruolo più marcato d’indirizzo delle politiche industriali. Se così fosse potremo dire addio alla nostra sovranità in campo produttivo. È scritto che per difendere e potenziare le catene del valore strategiche europee, la Commissione. “Incentiverà la leadership industriale e imprenditoriale europea in una serie di ecosistemi chiave, in particolare quelli connessi alla duplice transizione, verde e digitale”. Messa così non è propriamente il massimo per un Paese che fa di se stesso un marchio di fabbrica.

Chi difenderebbe il “made in Italy”, che è un unicum planetario, se i piani industriali e produttivi venissero decisi altrove? Ma le balle più grosse la sinistra le racconta sulla questione dei denari regalati da Bruxelles. Per finanziare il “Next generation Ue” la Commissione intende procurarsi i 750 miliardi occorrenti extra-bilancio pluriennale Ue accedendo al mercato finanziario dopo aver temporaneamente innalzato il massimale delle risorse proprie al 2 per cento del reddito nazionale lordo dell’Ue. I prestiti ottenuti saranno rimborsati con gli interessi a partire dal 2028 ad esaurimento fino al 2058. I fondi raccolti saranno destinati per 500 miliardi a sovvenzioni e 250 miliardi a prestiti agli Stati membri. Le fonti d’informazione attribuiscono all’Italia uno stock di 172,7 miliardi: 81,807 miliardi come sovvenzioni e 90,938 miliardi come prestiti. Peccato però che i “narratori” della sinistra omettano di spiegare che l’Europa non è una vecchia signora che ha ereditato una fortuna da un marito straricco, defunto di fresco: i denari che prende in prestito saranno gli Stati a restituirli. In proposito, ad accompagnare il documento della Commissione c’è un interessante paper dello staff tecnico che sviluppa i conti nel dettaglio.

A pagina 51 compare una tabella titolata “Allocation keys”. Effettivamente all’Italia è riconosciuta la chiave di assegnazione più alta tra i 27 Paesi dell’Unione: 20,4, per un ammontare di 153 miliardi complessivi. Valutando il Pil dell’Italia al 12,8 per cento del Pil complessivo dei 27 Paesi Ue, la quota nostrana di debito da ripagare è stimata in 96,3 miliardi di euro; il netto a ricevere in 56 miliardi di euro. La novità sarebbe che l’Italia in questa specifica occasione ottenga più di quanto dia. Ma è un’illusione ottica. Considerando che più della metà del contributo sono prestiti da rimborsare, la quota che spetterebbe al nostro Paese alla voce “sovvenzioni a progetti” si ridurrebbe a poco più di 20 miliardi di euro. Spalmati su un arco settennale il surplus generato verrebbe quasi integralmente assorbito dal netto che ordinariamente il nostro Paese versa in più all’Ue sugli esercizi finanziari. Ergo, nessuno ci regala niente. E poi, questo piano di ripartizione non è definitivo. È ipotizzabile che venga rivisto al ribasso e sovraccaricato di condizionalità per effetto della trattativa con gli Stati concettualmente contrari alla mutualizzazione solidale del debito. Perciò, da europeisti guardinghi non ci resta altro che sperare che il piano della Commissione non sia fattualmente rispondente al suo titolo: “Next generation”. Cioè, una roba fantascientifica.

Aggiornato il 01 giugno 2020 alle ore 10:45