La gestione delle città è ferma al 1942

martedì 14 luglio 2020


E se decidessimo di definire una nuova politica della città dopo una serie enorme di tentativi di riforma della legge 1150 del 1942. In fondo non credo sia possibile continuare a seguire procedure analoghe per ambiti urbani di 2mila abitanti e di 200mila o di 2 milioni di abitanti; non credo sia possibile affrontare la crescita di realtà urbane con caratteristiche socio-economiche differenti solo a titolo di esempio come affrontare gli assetti di Genova e di Taranto, realtà simili per quanto concerne la caratteristica logistica ed industriale, e Firenze e Venezia in cui compaiono elementi chiave legati alla offerta turistico-culturale; non credo sia possibile produrre uno strumento urbanistico utili per tutte le enormi variabili dimensionali e funzionali. Ma la cosa ancora più grave è che la Unione europea più volte con atti formali ci ha chiesto come si svolga la gestione delle nostre città ed in particolare come vengano utilizzate le risorse comunitarie del Fondo di Coesione e Sviluppo. Dovrebbe prendere corpo così un primo tentativo di nuova pianificazione e dovrebbe riguardare inizialmente le dodici aree metropolitane. Per queste realtà deve cambiare non solo qualsiasi approccio tradizionale allo strumento urbanistico ma anche le procedure con cui vengono eletti i consiglieri ed il sindaco. In realtà la rappresentatività della base elettorale ed il ruolo e le funzioni degli eletti non può essere assolutamente legato alle attuali logiche. Senza dubbio è vero che la elezione è a tutti gli effetti un atto democratico e quindi l’eletto deve solo essere legato al numero di voti ottenuto, ma nel caso specifico di un confronto elettorale quale quello che porta alla gestione della città è necessario preventivamente selezionare i partecipanti non in base a specifiche competenze o a vincoli professionali particolari ma almeno sulla reale capacità di ricoprire un ruolo che ha peculiari specificità legate al controllo urbanistico e socio-economico della città. Non è assolutamente un modo per incrinare, come dicevo prima, lo spazio democratico riservato agli elettori ma è davvero preoccupante assistere in molte aree metropolitane alla presenza nel Consiglio o nella Giunta di eletti completamente inadatti a ricoprire un ruolo così difficile, così ricco di problematiche e di criticità.

Dopo questo filtro dovrebbe prendere corpo un altro cambiamento sostanziale: la giunta propone al Consiglio di affidare tramite evidenza pubblica la gestione funzionale della città ad una apposita società preposta alla “gestione ordinaria dei servizi di competenza comunale”. La Giunta ed il Consiglio approvano quindi il bando con al suo interno tutte le incombenze che la società dovrà onorare durante il periodo di vita della Giunta e del Consiglio. Diventa così il riferimento chiave proprio questo bando perché al suo interno ci sono tutte le finalità programmatiche che la Giunta ed il Consiglio intendono perseguire sia per garantire la funzionalità dell’assetto urbanistico, sia per assicurare una qualità della offerta dei servizi alla cittadinanza. Ed allora la lettura dello stato che caratterizza, in un determinato momento storico, la città e le possibili azioni mirate al suo cambiamento diventano il primo atto strategico della Giunta. Diventa cioè obbligato un primo interrogativo: le varie destinazioni d’uso che caratterizzano un determinato assetto della città rispondono alle finalità che la Giunta intende perseguire ? I cambiamenti comportano una variazione degli strumenti urbanistici vigenti e un adeguato avallo della Regione, cioè i cambiamenti rischiano di innescare una procedura che nei fatti rende la stessa Amministrazione comunale incapace di dare in un arco temporale certo l’avvio concreto alla “nuova città”, alla “nuova area metropolitana”?

Di fronte ad una simile motivata preoccupazione prende corpo la prima parte, la più complessa, della intera operazione perché in tutte le aree metropolitane non c’è in nessun caso una corretta correlazione tra la ubicazione dei siti e la coerenza tra i siti e le reali esigenze dei fruitori dei siti stessi. La formazione delle aree metropolitane nel tempo è avvenuto senza seguire logiche corrette e soprattutto senza disporre, a priori, di scenari possibili legati alla crescita o alla decrescita dell’area metropolitana stessa. Questo approccio critico non può essere affrontato da un consesso politico, cioè non può essere affrontato dagli eletti in Consiglio comunale perché l’area metropolitana possiede essenzialmente caratteristiche che vanno analizzate con una lente tecnica e le soluzioni che si riterrà opportuno adottare rispondono a precise categorie che non hanno alcuna logica legata a schieramenti politici. In realtà sarà opportuno dare vita ad un vero Piano Economico e Finanziario di ciò che nel tempo diventerà l’intero sistema socio economico dell’area metropolitana. In realtà un simile approccio è tipicamente “privato” in quanto persegue condizioni di convenienza e soprattutto annulla ogni soluzione che non sia coerente con un ritorno nel tempo di determinate scelte strutturali ed infrastrutturali.

Questo approccio trova una forte motivazione proprio sulla fiscalità che il gestore dell’area metropolitana impone ai fruitori dell’area stessa e quindi se realizzo una sommatoria di opere materiali ed immateriali per rendere funzionale la città, per renderla davvero accessibile, per ottimizzare l’uso del “tempo” e quindi annullare le pesanti forme di congestionamento, posso anche imporre soglie fiscali più alte e in questo bilancio l’approccio necessariamente deve rispondere a logiche di ottimizzazione, deve rispondere a caratteristiche di tipo privatistico. Costruire Piani economici e finanziari delle aree metropolitane del Paese e affidare la gestione di tali piani a società private penso rappresenti il primo atto rivoluzionario rispetto alla stasi, alla indifferenza che per quasi ottant’anni ha caratterizzato e, purtroppo, continua a caratterizzare l’approccio all’urbano.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)