Conte vuole distribuire posti che non ha

La rottura del silenzio estivo di Giuseppe Conte ha privilegiato il volare alto, altissimo nei suoi, chiamiamoli così, bersagli. Lo sguardo, peraltro, era ed è fisso sulla data elettorale nella quale è presumibile che la forza delle cose, cioè dei risultati, smuova la statiticità attuale. Una mossa duplice, quella contiana, perché la mira era costituita dalle figure di Draghi e di Mattarella. Nientepopodimeno.

Intanto ha tranquillizzato uno Zingaretti la cui filosofia politica è ispirata al quaeta non movere a proposito del carattere cruciale, per il Pd, del voto che, a quanto pare, per il Premier non lo è affatto in riferimento alla di lui funzione ma, semmai, per i partiti che dovranno sbrigarsela da soli e non contare su un suo sostegno.

Fatta questa premessa, a chi avanza la proposta di una successione di governo sotto il segno di un esecutivo tecnico presieduto da Mario Draghi, ha spiegato che l’ex governatore della Banca d’Italia e della Bce, è “stanco” a tal punto da rifiutare di presiedere la Commissione europea. Peraltro, non avrebbe avuto alcuna probabilità di successo. Facile promettere quello che non si ha.E che, soprattutto, non è richiesto.

Il secondo obbiettivo di Conte era il Quirinale indicando in Mattarella il successore di se stesso.Qualcuno ha ravvisato in una simile improvvida uscita l’assenza del “suo” Casalino ricoverato in quel milanese San Raffaele giudicato dal “nuovo che avanza” come simbolo negativo di una sanità privattizata a spese di quella pubblica, ma in questa occasione le critiche alla esternazione contiana sono state un coro unanime.

Una dei motivi di simili uscite agostane sta, probabilmente,nell’attesa di un responso elettorale negativo per i partiti della maggioranza da cui non potrebbero provenire alcuna destabilizzazione per Palazzo Chigi provocando elezioni politiche ravvicinate con la sfida, sicuramente perdente, a un Salvini sulla cresta dell’onda.

Del resto, il ragionamento del Presidente del Consiglio riguarda anche il dopo voto quando, con ogni probabilità, si agiteranno al loro interno i partiti, sia quello di uno Zingaretti in equilibrio instabile, sia il partito grillino sconvolto da scissioni quotidiane cui servirà poco la vittoria di un referendum inconsultamente regalatigli dai partiti ignoranti delle conseguenze e tardivamente pentiti di quella unanimità. Ad ogni modo, Conte si è riservato una nicchia, una sorta di posizione che non possa essere insidiata dalle ondate di contestazione.

Ragionamenti sui quali è stata spruzzata una certa quantità di populismo riverniciando le accuse contro immancabili e indefinibili potentati che operano nell’ombra per mettere in crisi il suo governo.

Il fatto è che la gestione di tutto questo, poggiata su un sostanziale, benché sussurrato, sprezzo per i partiti, non solo ne ignora il ruolo più che attivo e indispensabile proprio in un dopo che è già cominciato (non troppo bene sol che si osservi la questione scolastica) ma ha prodotto una pericolosa illusione ottica a un Conte che, facendo forza sulla debolezza dei partiti, compie nel medesimo tempo una supervalutazione di sé medesimo ritenendosi una specie di “uomo forte”, dunque indispensabile, quando non ne ha minimamente la statura politica non solo o non soltanto per la casualità della sua doppia collocazione di Premier, ma per la sua intrinseca non qualità sviluppata e promossa dalla ideologia (si fa per dire) di un grillismo fondato, appunto, sulla non politica del catastrofico “uno uguale uno” che mostra tutta la sua stupidità e inaffidabilità in una fase nella quale tocca proprio ai partiti della maggioranza sconclusionata da lui presieduta affrontare e porre mano a temi e problemi di grande difficoltà e di non comune impegno - dall’emergenza sanitaria alla crisi economica - per i quali l’insensatezza dell’uomo solo al comando gli comporterà, più prima che poi, un fatale redde rationem.

Aggiornato il 10 settembre 2020 alle ore 12:27