Omicidio di Colleferro: per la destra l’eroe è Willy

Chiariamo subito un punto. La responsabilità della morte di Willy Monteiro Duarte, il ragazzo di Colleferro di origini capoverdiane ucciso dalla belluina violenza di un gruppo assassino, non può in alcun modo essere attribuita alle espressioni politiche della destra. È un’infamia il solo pensarlo. La ferocia con cui il branco violento si è accanito contro il povero Willy non trova alcuna giustificazione nel pensiero di destra che è alto, nobile, etico, ispirato ai massimi valori che la civiltà occidentale abbia saputo produrre. Le belve sono belve e, come tali, non hanno la capacità di elaborare un pensiero razionale ma sono mosse da pulsioni aggressive incontrollabili. Sono obbrobri della natura: bestie dalle parvenze di esseri umani. La deputata del Partito democratico e sottosegretario allo Sviluppo economico del Governo Conte bis, Alessia Morani, ha avuto l’improntitudine di scrivere che l’omicidio di Willy “è il frutto avvelenato di tutto quell’odio che viene dalla destra”. Si tratta di un’affermazione falsa e provocatoria, degna di chi ha nel proprio Dna il cromosoma della disinformazione.

Bisognerebbe che qualcuno, di buoni studi, le spiegasse che l’odio di cui ciarla, riguardo alla categoria del politico, non ha nulla da spartire con la teoria dell’amico–nemico formulata da Carl Schmitt, il cui pensiero ha accompagnato la formazione culturale di generazioni di giovani di destra. Ma l’opera diffamatoria della Morani vorrebbe essere più sottile: connettere nell’immaginario collettivo le condotte criminali delle belve di Colleferro alle politiche propugnate dalla destra in difesa dei confini patri dalle invasioni di immigrati clandestini. Sarebbe un falso storico pari a quello del libercolo confezionato dalla polizia zarista sul finire dell’Ottocento su ipotetici complotti mondiali degli ebrei, dal titolo illuminante I protocolli dei Savi di Sion. Continuamente scriviamo della necessità dei respingimenti e del sacro diritto degli italiani di decidere chi possa o meno entrare in casa nostra, ma non abbiamo mai detto che i migranti meritassero di finire ammazzati a calci e pugni. Al contrario, abbiamo sempre parteggiato per la difesa della loro dignità che si realizza soltanto nell’essere artefici del proprio futuro nelle terre natie. Tuttavia, se dovessimo stare al gioco infame iniziato dall’esponente del Pd, dai resoconti della cronaca risulta evidente che nella tragedia di Colleferro la persona che ha perfettamente incarnato il complesso dei valori della destra è stata la vittima, Willy. Essere di destra significa in primo luogo avere il senso dell’onore che impone come imperativo della morale la difesa del debole, anche a rischio della propria vita.

Ed è ciò che ha fatto Willy davanti all’accanimento dei violenti intervenendo in favore del compagno di classe obiettivo del pestaggio. La lealtà è di destra. E Willy è stato leale fino in fondo: non è scappato, non ha girato lo sguardo altrove fingendo di non vedere la difficoltà dell’amico. È di destra osservare la regola cavalleresca che comanda di non colpire chi è in terra, inerme. Willy è caduto ed altri hanno infierito sul suo corpo esanime. È di destra non fare distinzioni di razza o di provenienza etnica ma riconoscere il coraggio, l’eroismo, la forza morale, negli esseri umani a prescindere dal colore della pelle. È di destra scegliere un’esistenza degna di essere vissuta. Quella di Willy è stata drammaticamente breve nondimeno è stata vissuta fino all’ultimo istante nel modo più desiderabile per un uomo di princìpi elevati: restare fedele ai propri valori. Se è sul piano della squallida demagogia che la signora Morani vuole tenere la tragedia di Colleferro sappia che l’eroe della storia, per quelli di destra, è Willy. Non i suoi carnefici. Che invece sono la negazione di tutti i valori che la destra rappresenta. Gli assassini sono degli sporchi vigliacchi perché non ci si mette in quattro, forse cinque, contro un ragazzo solo.

Sono degli infami codardi, perché quando i carabinieri li hanno arrestati subito hanno cominciato lo scaricabarile accusandosi gli uni con gli altri e nessuno avendo il coraggio di prendersi la responsabilità dell’aggressione mortale. Da garantisti pretendiamo che queste belve abbiano un giusto processo. Ma se un Tribunale della Repubblica ne accertasse la colpevolezza con sentenza definitiva, vi sia certezza della pena. Che scontino la condanna in galera fino all’ultimo giorno. E che provino a spendere questo tempo a riflettere sul male arrecato e sull’inutile significato delle loro vite balorde. La morte di Willy spalanca una finestra su un problema grave, presente nella società del nostro tempo storico. Contrariamente alle becere insinuazioni della parlamentare Morani, il dramma vissuto a Colleferro segna l’assenza della paideia, connaturata alla funzione alta della politica, che è educazione del cittadino alla vita di relazione nella comunità di appartenenza, fondata sul dialogo e sul confronto delle idee. Le bestie assassine sono da classificare tali non perché coltivassero ideologie negative e autoritarie ma per il fatto di non aver alcun pensiero compiuto, alcuna visione del contesto comune a cui appoggiarsi. Per debellare la radice di un male assoluto occorre il diserbante della cultura. Si parla genericamente del branco violento ma quando ci si porrà la domanda sulle responsabilità ambientali? Che i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, Mario Pincarelli e Francesco Belleggia, i quattro arrestati indiziati dell’assassinio di Willy, fossero macchine da combattimento era noto.

Hanno precedenti penali per lesioni e droga. Che un giorno o l’altro dai loro raid ci sarebbe scappato il morto non sarebbe stato difficile prevederlo. E allora, perché diamine nessuno ha fatto niente per fermarli prima che fosse troppo tardi? A cominciare dalle famiglie e, andando indietro nelle loro biografie, dalla scuola. Qualcuno si sarà pure accorto degli istinti belluini di costoro? E cosa ha fatto? Le cronache li descrivono come picchiatori professionisti esperti di arti marziali. Quindi, hanno frequentato palestre per imparare a combattere. Cosa dicono di loro gli istruttori che li hanno avuti in squadra, i dirigenti delle società sportive presso cui erano tesserati? Tacciono. Allora gli chiediamo: cosa s’insegna nelle vostre strutture? A fare a botte? A sviluppare istinti omicidi? A vivere l’esistenza come fosse un film dell’orrore o il set di Gomorra? Lealtà, equilibrio morale, senso della giustizia, sportività sono parole sconosciute al loro scarno lessico quotidiano.

Se è così, quanti altri fratelli Bianchi, potenziali sterminatori, circolano liberamente a nostra insaputa? Non lo sapremo mai fin quando le politiche permissive e giustificazioniste del sociologismo sessantottino, che torna puntualmente in auge quando la sinistra occupa il potere, saranno state spazzate via dall’avvento salvifico di una società ordinata a solidi canoni valoriali, rispettosa delle gerarchie comunitarie, non–violenta, disciplinata e orgogliosa del senso di appartenenza che cementa la coesione tra tutti i suoi membri, fuori degli steccati di classe. La direzione di Fratelli d’Italia ha reagito alle infamanti espressioni della Morani dicendole di vergognarsi. Tempo perso, perché la signora in questione si è limitata ad assecondare la sua matrice ideologica che prescrive il ricorso alla menzogna diffamatoria contro il nemico quale efficace mezzo di lotta politica. Perciò, di cosa dovrebbe vergognarsi? Chiederle un pentimento sarebbe come pretendere da una iena rispetto per un cadavere.

Aggiornato il 11 settembre 2020 alle ore 19:21