Se l’opposizione viene aggredita

La figura di Matteo Salvini coincide col suo ruolo. Di maggioranza o di opposizione. E come protagonista.

Si dirà che tale coincidenza è frequente in politica, nel senso e nella misura con cui il protagonismo è di per sé il contenuto visibile dell’attività di qualsiasi politico che si muove dentro quella sostanziale modestia diffusa nei partiti o movimenti. Ciò vale, nel nostro Paese, nel maggiore dei casi a parte la figura e l’azione (spesso contraddistinte da sbandate) del leader della Lega che ha ben altre radici e motivazioni al di là dell’uso massmediologico che ne accompagna ed esalta la funzione di opposizione come primo partito della stessa.

Per rimediare alla modestia – che poi è la mediocrità – la maggior parte di esponenti politici ricorre alla potenza dei media, soprattutto televisivi oltre che ai social, grazie ai quali le carenze oggettive vengono mascherate poiché il medium rappresenta, visibilizzandoli, non i difetti o le modestie ma li sottopone a una metamorfosi mostrando non le luci ma le lanterne.

Il modello di questo cambiamento è di certo il Presidente del Consiglio il cui staff, condotto, et pour cause, da un Rocco Casalino, cui auguriamo di rimettersi in fretta come Silvio Berlusconi, essendo entrambi “coinquilini” del San Raffaele di Milano, gli deve aver spiegato fin dall’inizio che le apparizioni in tv sono tanto più utili quanto più frequenti, una lezione imparata immediatamente da Conte fino al punto da oltrepassarne i confini dell’accettabilità in un crescendo implacabile che tracima nell’effetto opposto.

Intendiamoci, non è il solo “innamorato” dei media nella sua maggioranza, basta seguire le concorrenti evoluzioni televisive (e non solo) di un Luigi Di Maio che passa impunemente da uno speech in diretta dalla sua (inutile) visita in Libia ad un intervento sulla situazione del 5 Stelle con evidenti critiche ai vertici (dei quali è membro primario) subito dopo aver partecipato ad una riflessione, ovviamente televisiva, sul complesso dell’industria del tessile o dei pomodori e via dicendo.

A uno spettatore attento non possono sfuggire i difetti e i limiti di entrambi poiché l’inquilino di Palazzo Chigi usa la tecnica di certi avvocati d’antan dalla morbida eppur impaludata retorica elogiativa dei luoghi comuni, mentre il ministro degli Esteri riempie il vuoto della sua impreparazione e casualità rifugiandosi nella lettura di interventi che sono farina del sacco d funzionari della Farnesina. Di sue idee c’è ben poco o nulla, tant’è vero che da più parti si va considerando che l’Italia non ha più una politica estera.

Matteo Salvini è, come si dice, un’altra cosa e non staremo qui a illustrarne diversità che sono sotto gli occhi di tutti, tuttavia osservando, a latere, che la non omologabilità del Capitano è ravvisabile nel privilegio che dedica all’incontro diretto, alla partecipazione del suo popolo, sia pure con la mascherina, agli immancabili selfie superando in questo il suo maestro Umberto Bossi. E con la concorrenza di una Giorgia Meloni che, non a caso, ha lontane matrici negli elogi di quella “piazza” dalla quale “si parte e alla quale si ritorna”.

Salvini è stato aggredito con strappi di camicia e del rosario in occasione di questa campagna elettorale sulla quale è stato sparso ciò che qualcuno definisce “odio” tirando in ballo lo stesso Capitano per le sue performance spesso non in linea con quel mitico politicamente corretto che viene in genere evocato contro gli altri da chi proprio sull’ostilità preconcetta fonda la propria antipolitica, guardandosi bene da qualsiasi autocritica dei tempi del “vaffa”.

Il fatto dell’aggressione è stato bensì condannato mostrando solidarietà a Salvini da parte di leader politici della maggioranza, ma l’impressione è che tali vicinanze appartenessero più alla dimensione del cosiddetto atto dovuto piuttosto che alla consapevolezza che un atto del genere, al di là di chi l’ha compiuto, non può non essere la spia del malessere profondo di una fase del vivere comune, e a maggior ragione della politica in cui il confronto e lo scontro rientrano in una dialettica nella quale il ruolo dell’opposizione è insostituibile e la cui indispensabilità va salvaguardata soprattutto per la salvezza delle libertà democratiche.

Ciò che ha lasciato e lascia cattive impressioni e sensazioni è anche la sottovalutazione di non pochi mass media che si sono dilungati sulla “alterazione” della protagonista di quegli strappi senza una riflessione appropriata del valore negativo e preoccupante di un gesto esecrabile contro chiunque, ma in questo caso espressione distruttiva (e ci si augura non imitabile) del ruolo di chi in un sistema di garanzie democratiche svolge all’opposizione. Ruolo a proposito del quale vale sempre il detto, oggi a te domani a me.

 

Aggiornato il 14 settembre 2020 alle ore 10:03