Non voleva il rimpasto ma adesso è peggio (per Conte)

Vale la pena ricordare che la proposta di un mese fa da parte di Matteo Renzi per una verifica anticipatrice di un rimpasto governativo era stata nettamente respinta da Giuseppe Conte e seccamente contestata da Nicola Zingaretti, in una situazione nella quale prevaleva l’ottimismo per un Covid ormai alle spalle e in previsione di una imminente ripresa per il Paese. Un rimpasto non rientrava assolutamente nelle previsioni di Conte. E non era nelle previsioni la sopravvenienza di una seconda ondata pandemica che si sarebbe abbattuta sul Governo. Ed è comunque certo che Conte si aspettava ben altra reazione dai cittadini, che si erano abituati giudiziosi ai suoi morbidi speech durante la prima ondata. Il ritorno del virus (che non se ne era andato) ha smorzato il tema della ripresa economica, accentuando l’indubbia violenza della nueva ola, come dicono gli spagnoli, nei guai come e forse più di noi.

Le previsioni colpevolmente mancate da parte governativa sono troppo conosciute per tornarci sopra, ma dopo il Dpcm “del coprifuoco” di sabato-domenica esse sono esplose, non soltanto in rivolte da parte delle categorie più penalizzate ma all’interno della stessa maggioranza. E non sappiamo se il prossimo decreto a proposito dei ristori riuscirà a placare le piazze. Fra le voci interne si è levata, immancabile, quella del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in rappresentanza dei suoi soldati che si sentono mancare la terra sotto i piedi e cercano di distrarre i cittadini preoccupati dall’emergenza Covid e dalle promesse non mantenute del Governo, con una nuova campagna anticasta, proponendo di dimezzare le indennità dei parlamentari. Una soluzione in linea con le ridicole velleità pentastellate che si proponevano di abrogare la povertà con un decreto, previo accesso al Governo nel quale brillano per manifesta incapacità, inadeguatezza e per una ideologia pregiudiziale, della quale l’opposizione al Mes è uno dei simboli più negativi delle reali necessità del Paese.

In questo contesto nel quale, peraltro, si vanno profilando esigenze di nuovi lockdown, è piombato come una nuova tegola su Conte l’affondo di Matteo Renzi sul Dpcm con il ministro dell’Agricoltura di Italia Viva, Teresa Bellanova, contrari ad alcune misure prese da “un paternalismo che fa solo danni ed errori come chiudere le scuole e tradire i commercianti”. Giuseppe Conte, dunque, è reclamato in prima persona come premier di una maggioranza nella quale ha prevalso il suo modello di infinite mediazioni, di rinvii, di ritardi, di mancate previsioni che ha mostrato tutti i suoi limiti anche e soprattutto nel Dpcm contestato, con l’aggravante di una ossessionante presenza mediatica che, a differenza di qualche mese fa, rende ora più visibile dietro la cortina di parole e promesse la dura e drammatica realtà. E le incertezze nell’affrontarla.

È in questo quadro che la richiesta di Renzi per una verifica assume un profilo ancora più pericoloso per Conte, che è bensì difeso da Zingaretti e dalla corrente governativista di Di Maio, ma ben difficilmente potrà sfuggire a una collegialità autentica cioè rinnovata su temi la cui urgenza “non può aspettare gli Stati generali di nessuno, ed è necessario il Mes con una verifica richiesta da tempo, per guardarsi faccia e capire se abbiamo a cuore il futuro del Paese o solo qualche risibile rendita di posizione”. Il messaggio, se non ultimativo, è certamente ineludibile, rendendo concreta l’ipotesi di quel temuto rimpasto, e anche oltre. Tanto più che dall’opposizione gli inviti per una “collegialità” diversa ma necessaria sono stati fin ad ora respinti da Giuseppe Conte, che appare sempre più stretto in una tenaglia dentro e fuori dalla sua maggioranza. Manca soltanto un intervento del Quirinale. Prima o poi.

Aggiornato il 29 ottobre 2020 alle ore 11:16