Se Berlusconi parla c’è una ragione, anzi più di una

mercoledì 11 novembre 2020


Qualcuno ha giudicato l’intervento del Cavaliere, Silvio Berlusconi, intervistato da Fabio Fazio come una prova di buon senso, una espressione da buon padre di famiglia in un contesto dove prevale una bella confusione. Ed è anche vera questa osservazione positiva e benevola. Ma c’è dell’altro, a cominciare proprio dal contesto politico alla luce, innanzitutto, dalla vittoria di Joe Biden contestata da Donald Trump. Una vittoria mutilata, vorremmo dire, e non riconosciuta, fino ad ora, da importanti Paesi come Russia e Cina e priva dei soliti complimenti anche da noi, con il silenzio di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni. Questo silenzio è stato rotto da Silvio Berlusconi, che non ha risparmiato critiche alla “arroganza di Trump” e ha in un certo senso benedetto il successo di Biden, congratulandosi perché da lui vengono segnali incoraggianti.

Dallo sguardo sugli Usa, Berlusconi è passato alle nostre faccende nel pieno del contagio Covid – di cui lui stesso porta ancora le stimmate – e ha promesso al Governo di Giuseppe Conte una collaborazione nelle occasioni più complesse e delicate, per la sempre zoppicante tenuta parlamentare aggravata dall’inevitabile peggioramento della pandemia. Non è chi non veda la portata politica di questo intervento berlusconiano che, nella pur ribadita fedeltà agli alleati del centrodestra, ha a suo modo indicato una terza via che si riallaccia alla ideologia schiettamente liberale di una Forza Italia, peraltro, ridotta quasi ai minimi termini ma pur sempre attiva e riattivata nella tradizionale collocazione al centro.

A ben vedere, la critica alla “arroganza di Trump” voleva indicare uno spostamento del successore di Barack Obama oltre i confini di quella centralità politica che nei repubblicani americani ha sempre prevalso sulle spinte centrifughe, con governi moderati e apertamente solidali con gli alleati e con l’Europa, attenti alle dinamiche della globalizzazione. Fermo restando che le critiche feroci della gestione trumpiana, ne ignora volutamente quei successi economici ottenuti da un movimentato liberismo sullo sfondo di complicazioni razziste e di insistite applicazioni della law and order. Con l’inevitabile risalto mediatico. Il percorso inverso compiuto da Trump inneggiando a una “America first and alone” ha interrotto le comunicazioni, e non solo con l’Italia, e la spinta all’autonomismo Usa si è mescolata e ha dato impulso ad altre già presenti nel nostro Paese grazie a Salvini e a una Meloni più cauta, entrambi, non a caso, aperti tifosi trumpiani e, al tempo stesso, quotidianamente avversi al governo di Giuseppe Conte. Se il caso di Giancarlo Giorgetti tende a riportare Salvini a più miti consigli nei confronti di una America non più “first and alone” e facendo i conti con un futuro più o meno vicino di assunzioni governative del centrodestra, è proprio di questo centro che Berlusconi ha rivendicato la paternità, la legittimità e la credibilità ponendosi come doppio interlocutore: di Biden e di Conte, con aperture a costui che non escluderebbero governi di salute pubblica. La simmetria delle due differenziazioni è destinata ad una narrazione della politica italiana che può assumere modalità e contenuti nuovi, riflettendo sulla gravità epidemica che privilegia una stabilità sia pure subita.

Il parlare che si fa di una spinta verso il centro è, allo stato, una bestemmia politica per la destra del centrodestra, perché la stessa identità salviniana e meloniana ha ben diverse aspirazioni, ma le curve del Covid ne possono comportare altre, di segno politico, al di là della debolezza di Conte che si sente momentaneamente rinfrancato da un patto di legislatura ma solo per guadagnare tempo, non ignorando che al sempre suggerito e mai eseguito cambio di passo potrebbe seguire un cambio vero e proprio con un esecutivo alla Aldo Moro, delle larghe intese. Ritornando a Berlusconi, non va dimenticato che quelle che chiamiamo aperture attengono anche alla sua figura di imprenditore, di tycoon prestato alla politica con la quale deve fare i conti, e il caso della minaccia di Vivendi disattivata dal Governo ma sempre in agguato come altre, sta lì a dimostrare come l’intreccio fra pubblico e privato, lasciate alla spalle le violente condanne del passato, ne conferma una sopravvivenza ,meglio una vitalità, che implicano scelte e decisioni che ne travalicano la natura riflettendosi su quella che ci ha tramandato l’antica ma sempre attuale Grecia: la Polis.


di Paolo Pillitteri