Ciao Arturo, ci mancherai

martedì 1 dicembre 2020


Ho conosciuto Arturo Diaconale nel 1992, quando – insieme a un manipolo di miei colleghi universitari freschi di laurea (e miei carissimi amici) – ero un giovane collaboratore de L’Opinione, in quegli anni settimanale del Partito Liberale Italiano. Arturo fu chiamato alla direzione da Renato Altissimo, per “correggere” la linea lib-lab del giornale (uno strascico della precedente segreteria Zanone) e traghettare L’Opinione verso quello che, qualche mese più tardi, si sarebbe chiamato “centrodestra”.

Arturo irruppe come un ciclone in una redazione abituata ai ritmi sonnecchianti e un po’ snob del giornale di partito. Da giornalista vero (non per niente era stato una delle punte di diamante della redazione politica de Il Giornale montanelliano), cercò immediatamente di trasformare L’Opinione in un settimanale d’assalto, alla ricerca di un’identità che andasse oltre a quella del semplice bollettino d’ordinanza del PLI.

Con Tangentopoli, nel giro di pochi mesi il partito svanì rapidamente come il resto della Prima Repubblica. Amici dei magistrati a parte. Ma invece di mollare il colpo e cercare fortuna altrove (e ne avrebbe certamente avuto la possibilità), Arturo raddoppiò la posta: rilevò la testata dal partito e la trasformò in quotidiano.

Tra mille difficoltà, non solo economiche, ancora ricordo quei giorni come i più entusiasmanti della mia carriera professionale. Grazie alle intuizioni di Arturo e del suo caporedattore Franco Oliva (già Secolo XIX, Mattino di Padova, Nuova Venezia, Espansione), L’Opinione diventò una palestra d’addestramento per una serie infinita di giovani giornalisti che non avevano intenzione di piegarsi alla dottrina del conformismo progressista. Molti di loro sono diventati firme prestigiose dei giornali e delle televisioni italiane. E quasi tutti si sono fatti le ossa proprio in quei primi, caotici anni del quotidiano L’Opinione. Che oggi lo ammettano con se stessi oppure no, devono proprio ad Arturo la prima possibilità di potersi confrontare con la professione giornalistica.

Sono passati quasi tre decenni da allora. E tra mille peripezie L’Opinione ha pervicacemente continuato ad esistere. Sono cambiati amministratori, assetti societari e giornalisti, ma l’unico fattore costante è rimasto proprio Arturo, con la sua testardaggine abruzzese, la sua inesauribile capacità di mediazione, la sua infinita generosità e le “mille idee al minuto” sempre pronte a mettere in difficoltà i suoi collaboratori.

Arturo non era solo L’Opinione, naturalmente. La Rai (prima come conduttore e poi come componente del consiglio d’amministrazione), la sua (nostra) amata SS Lazio, il Parco Nazionale del Gran Sasso: i suoi impegni erano tanti come la sua sconfinata curiosità intellettuale.

Prima che un male infame ce lo portasse via, il nostro Direttore era ancora lucido come un laser e attivo come un ragazzino. Aveva posto le basi per un importante progetto televisivo, si preparava al rilancio del giornale e continuava a pianificare il futuro. Ora, senza di lui, questo futuro è più vuoto e più triste. Ma abbiamo l’obbligo di provare comunque ad immaginarlo, insieme ai lettori che in tutti questi anni non ci hanno mai abbandonato. Sembra soltanto retorica, ma è la pura verità: Arturo avrebbe voluto così.


di Andrea Mancia