Caro Arturo, il mio editoriale per te

Arturo carissimo, non so quante volte ho ascoltato il ticchettio rassicurante e deciso mentre preparavi il tuo consueto editoriale nella stanza accanto alla mia. Nella tua redazione, nel tuo giornale. Ora che non ci sei più le dita pesano come macigni e picchiettando sulla tastiera lo sguardo triste guarda indietro e torna all’estate del 2012 quando sono arrivato all’Opinione in via del Corso, pronto per un’avventura umana e professionale che devo solo a te. In quel luogo, un formicaio di teste libere e pensanti in perenne attività, un viavai di colleghi, personalità del mondo della politica e dello spettacolo, fra “prime” da ristampare, portacenere che traboccavano cicche di sigarette aspirate fra la scelta di una foto e un corsivo da rielaborare, in quella fucina che già da anni aveva un suo peso specifico non indifferente, la tua figura imponente e aristocratica si aggirava fra i corridoi fumosi inseguita da noi redattori per uno spunto, una parola, un’idea, una soluzione. Provavamo a seguire i tuoi passi nel tuo incedere sicuro.

Sono approdato al tuo giornale alla vecchia maniera, con un colloquio, rincorrendoti fra i tuoi innumerevoli impegni su e giù per il centro storico. Una volta a un convegno, un’altra a una presentazione di un libro, a un dibattito. Mai mi hai negato un incontro, anche solo per pochi minuti. Con l’idea di far partire un’edizione locale e regionale dell’Opinione, mi hai dato l’opportunità di entrare a far parte di questo meraviglioso giornale. Quando sembrava dovesse calare il sipario sull’Opinione e molti se ne erano già andati, mi hai chiesto: “Te la senti?”. Quanto orgoglio direttore quando mi hai chiesto di coordinare tutto questo! A tenere insieme il giornale, con alle spalle la tua guida sapiente, fra centinaia di articoli da correggere, telefonate ricevute, mail, messaggi e tesserini ottenuti da chi non ha voluto mollare e ci è stato vicino. La tua lezione di giornalismo non morirà mai.   

“Stefano, ti ho mandato l’editoriale”, “Stefano, controlla se ti è arrivato il titolo”, “Stefano, guarda un po’ che ne pensi del taccuino biancoceleste”. Lamore per la Lazio, la nostra Lazio, col tempo sei diventato un punto di riferimento per il popolo biancoceleste. La tua voce quotidiana, le tue telefonate sempre serene con il tuo timbro rassicurante erano diventate per me un’abitudine da custodire gelosamente. Andavo e venivo nella tua stanza, fra dubbi su questo o quel contenuto, già sapendo che da liberale non avresti potuto negare la possibilità di scrivere a qualcuno che te lo aveva chiesto. Anche quando nel sottoporti qualche “pezzo”, ti manifestavo le mie perplessità, con un sorriso impagabile mi guardavi e mi dicevi: “Ma sì, pubblicalo”. Mai è mancato il tuo apporto, da finissimo editorialista, intellettuale come pochi altri. Perfino dall’ospedale non hai smesso di scrivere, sempre devoto alla causa del giornale, sempre disponibile verso i lettori. Uomo da Prima Repubblica nel senso più bello e profondo del termine. Il Parlamento avrebbe avuto bisogno di una figura imponente culturalmente come la tua. Potevi stare davanti a poche persone come a centinaia andando a braccio con la tua oratoria per ore, senza pause, senza mai stancare, ma anzi offrendo sempre con il tuo pensiero arguto motivi di riflessione all’uditorio. La dimestichezza che avevi nell’uso della parola ti consentiva di passare da un argomento all’altro con una facilità disarmante, garantendo sempre, qualità rarissima, la comprensione a tutti. Padroneggiavi la parola e lo scritto con una bravura senza eguali.

“Ciao Ste”, “ciao direttore”, sono i suoni più cari che porto dentro adesso mentre ricordo le riunioni fiume a parlare di politica, di storia, di pallone, di governi traballanti, di battaglie da intraprendere, di valori liberali, di giustizia, di garantismo, di pluralismo dell’informazione. Mai una censura, sempre alla ricerca del dialogo, del confronto, della partecipazione, il tutto condito da un’eleganza che era solo tua, da un portamento che era innato in te. E poi la discrezione, l’educazione, il rispetto, l’accoglienza, la testardaggine certo, il tuo sguardo bonario e sorridente insieme che ci hanno preso per mano in tutti questi anni. E noi anche nelle difficoltà sapevamo di poterci aggrappare alla grande quercia che ci proteggeva e ci rassicurava nei momenti bui.

L’Opinione vuole, deve continuare ad essere un laboratorio di idee e sentinella vigile nel panorama dell’informazione italiana. Una “voce” autorevole che grazie alle numerose battaglie portate avanti su molteplici tematiche, dalla “giustizia giusta” ai temi etici, senza dimenticare le puntuali analisi sui principali fatti della politica nazionale e internazionale, ha fatto breccia conquistando nicchie sempre più consistenti nell’opinione pubblica e raggiungendo una posizione autorevole e primaria nell’ambito di un pluralismo dell’informazione che in tanti, troppi, vorrebbero “silenziare”. Un traguardo che non sarebbe stato possibile raggiungere senza Arturo Diaconale, faro e guida luminosa di un percorso giornalistico e non solo che deve ancora scrivere pagine importanti per il nostro Paese.

Ciao direttore, Arturo carissimo, il vuoto che lasci è una voragine senza tempo. Ma la tua luce non si spegnerà mai. Continua a brillare.

Aggiornato il 03 dicembre 2020 alle ore 12:58