Una proposta dalle parole dell’assessore Moratti

Con un lessico un po’ infelice, il nuovo assessore alla Sanità della Regione Lombardia ha di fatto provato, nei giorni scorsi, a riaprire la discussione sull’approvvigionamento dei vaccini.

Letizia Moratti ha proposto di considerare anche altri criteri per ripartire le scorte di vaccino fra regioni: la mobilità, il fatto che una zona sia stata molto colpita dall’epidemia o meno, la densità abitativa e il contributo della Regione al Pil, ovvero il costo che rappresenta il suo permanere in zona rossa in termini di attività che non si possono svolgere.

È evidente che un assessore regionale tenta di tirare la coperta, che è stretta, nella direzione della sua Regione. È politica. È altrettanto evidente che il ritmo, per ora non tempestivo, con il quale la Regione Lombardia ha avviato la campagna vaccinale non rafforza granché la sua posizione negoziale. Ma è pure evidente che i criteri a cui ha alluso Moratti sono ispirati all’idea di ridurre i tassi di contagio e rallentare la circolazione del virus, nella convinzione che il vaccino debba essere usato sia per ridurre la mortalità che per riportare quante più persone possibili quanto prima a una vita relativamente “normale”.

La proposta della vicepresidente di collegare la fornitura di vaccini al Pil ha scatenato una dura polemica. È bastata la parola Pil per armare i cannoni di un solidarismo più o meno ipocrita e gridare allo scandalo per una visione mercificata della dignità dove l’uomo conta solo per quello che produce.

Se però Regione Lombardia ha davvero una proposta di criteri alternativi a quelli del Governo, non è interesse di tutti discuterla? Se c’è una cosa che abbiamo imparato, in questi mesi, è quanto nella pandemia sia difficile “conoscere per deliberare” ma anche quanto è importante cercare di avere informazioni, dati, elementi di conoscenza chiari.

Al di là delle polemiche, persino scontate, il Pil è un indice che si correla bene con altri indicatori di rischio di contagio. Per produrre beni e servizi, le persone devono lavorare, incontrarsi, muoversi.

Più in generale, la proposta di Moratti ha il merito di aver posto l’attenzione su una questione che tendiamo a dimenticare: che le scelte pubbliche sono, appunto, scelte.

Nel momento in cui lo Stato ha deciso di poter lui solo comprare e distribuire vaccini, sono i commissari o ministri di turno che decidono chi deve ottenere per primo il vaccino.

Decidere di vaccinare una persona molto anziana che vive in casa e esce di rado, prima di una persona più giovane che ha famiglia, figli che vanno a scuola e lavoro e si muove molto non è necessariamente un criterio più rispettoso di diritti e pieno di senso dell’umanità. L’assenza di un piano rapido di vaccinazione per il settore scolastico potrebbe rappresentare un’imprudenza per gli anziani. Viviamo (vivevamo e vorremmo tornare a vivere) immersi nelle relazioni familiari, sociali, lavorative. Dare priorità di vaccinazione ai soggetti più a rischio di complicazioni rispetto a quelli più a rischio di contagio non è detto che sia una scelta di maggiore umanità, oltre che di maggiore efficacia.

Sarebbe utile una riflessione meno ipocrita e una proposta concreta su come consentire il più rapidamente alla maggioranza della popolazione attiva di essere vaccinata e di proteggere gli altri, proteggendo se stessa.

Al neo assessore alla Sanità della Lombardia, ci permettiamo allora di suggerire sommessamente un’altra campagna. Più che sostituire a un criterio arbitrario un criterio arbitrario di altro tipo, perché non si intesta una battaglia per permettere che anche altri, per esempio i datori di lavoro, possano attivarsi per acquistare e, quindi, somministrare vaccini, all’aumentare della loro produzione? Se ci sono imprese e comparti che sono disponibili a pagare di più per immunizzare prima i propri lavoratori, perché non consentirglielo? Lo stesso vale, per assurdo, anche per il singolo cittadino che fosse disponibile a pagare per vaccinarsi privatamente. È iniquo? Giova ricordare che chi paga per saltare la coda accorcia la coda per chi non può pagare. Paradossalmente più una persona sarebbe disponibile a pagare per vaccinarsi, maggiore è il beneficio che trae la vaccinazione pubblica. C’è inoltre da confidare che la produzione dei vaccini possa essere tale, a breve, da consentire ai vaccini in vendita di aggiungersi, non sostituirsi, ai quantitativi contrattualizzati dallo Stato. È forse, questa proposta, ancora tacciabile di iniquità?

Aggiornato il 21 gennaio 2021 alle ore 11:43