Giustizialismo e giacobini d’accatto

Spacciata è l’idea, non le gambe sulle quali si regge. In altre parole: più ancora di Alfonso Bonafede, in crisi è il modello giustizialista che lo ispira. Di Bonafede, tanto è stato insignificante, potremmo anche fare a meno di occuparci. Fin dalle prime uscite, e negli interminabili tre anni del suo dicastero, ha mostrato di non avere la minima idea di ciò che faceva. Probabilmente, seguiva l’onda che lo aveva immeritatamente spinto fino al Palazzo di via Arenula, ma continuava a non avere contezza della differenza che corre tra la colpa e il dolo. Sic transit gloria mundi. Punto, a capo.

Vacilla, invece, il modello giustizialista sul quale, fino a ieri, si era tentata l’edificazione della riforma: un po’ perché ha perso per strada pezzi importanti (il pensionamento di Piercamillo Davigo è stato letale), un po’ perché anche i giuristi illustri (Gustavo Zagrebelsky, per citarne uno) hanno abbandonato l’austero ed inspiegabile silenzio per ricordarci che la Costituzione si occupa anche del diritto penale. Nicola Gratteri, maldestro, ha fatto il resto.

Il vento, tuttavia, non è ancora del tutto cambiato: soffia sempre, un poco più debole, nella direzione dei giacobini d’accatto, tuttora convinti di risolvere i problemi a colpi di manette. Ci vuole pazienza. Questo è un Paese nel quale il sentiment verso la Giustizia è descritto icasticamente da una sinusoide: sale, scende e risale. Bonafede, meschino, è arrivato in una fase calante del garantismo e ora sconta, oltre alla sua debolezza giuridica, i timidi segnali di ripresa del buon senso. Lui non ha colpa. Vede esclusivamente una faccia della Luna.

La colpa è nostra, degli intellettuali, nonché di chi lo ha assecondato e ora vorrebbe rimettere Andrea Orlando al suo posto. Orlando che, con gli illustri costituzionalisti, ha taciuto fino a ieri. Abbiamo già dato, grazie. Dalle mie parti si dice: ‘na volta ‘a prun a caval ‘d’l’asu.

Aggiornato il 26 gennaio 2021 alle ore 09:36